Debito pubblico,   legulei, corruzione

Ignavi è il termine solitamente attribuito alla categoria dei peccatori incontrati da Dante Alighieri nel Canto III dell’Inferno. Gli ignavi sono coloro che durante la loro vita non hanno mai agito né nel bene né nel male, senza mai osare avere un’idea propria, ma limitandosi ad adeguarsi sempre a quella del più forte e come tali indegni di meritare sia le gioie del Paradiso sia le pene dell’Inferno, a causa proprio del loro non essersi schierati né a favore del bene né a favore del male.

La situazione di stallo in cui ci troviamo tra debito crescente, normazione da legulei ormai impazzita e la crescente corruzione mostrano una sempre più stretta correlazione in un cerchio mortale in cui sembra stiamo finendo per soffocarci, incapaci di trovare una relazione di causa ed effetto dei mali che ci stanno dilaniando. Infatti si sta creando un perverso cerchio magico degli “ignavi” esprimibile con la seguente formulazione: + debito = + normazione astrale = + corruzione = + debito = + normazione astrale = + corruzione... così all’infinito in una trappola infernale in cui viene emarginato il pensiero e la capacità di leggere i fenomeni.

Sono sempre i dati che illustrano il circuito, infatti nel 2001 il debito pubblico era di 1350 miliardi di euro, nel 2011 a settembre diventa 1830 miliardi di euro ed oggi siamo a quasi 2300 miliardi di euro. Il percorso di crescita diventa sempre più veloce, + 500 miliardi in dieci anni e poi + 500 miliardi in cinque anni nonostante le lacrime e sangue, le manovre fiscali su tutto il possibile, le riforme non-riforme e tutte le dichiarazioni d’ufficio. Il debito in 15 anni è aumentato di 1000 miliardi di euro ma l’aumento è stato determinato dalle spese correnti non dagli investimenti. L’aumento delle spese correnti rappresenta la cultura dominante del Paese che è quella della rendita ed è funzionale a distribuire e bruciare ricchezza per mantenere il consenso senza crearla. L’incremento del debito si è realizzato nonostante i tassi di interesse siano stati incredibilmente bassi , intorno al 2 per cento, rispetto ai livelli degli anni Novanta quando un Bot rendeva il 20 per cento al trimestre.

A fronte del continuo aumento del debito la cultura giuridica del controllo è in grado solo di produrre nuove norme, inasprire le precedenti o creare nuovi organi di controllo che non controllano ma si infilano l’uno dentro l’altro come una diabolica “matrioska”. Il progressivo allontanamento delle amministrazioni centrali dalla realtà le rende incapaci di capire il passaggio della norma in atti finiti, così la normazione, spesso fine a se stessa si moltiplica all’infinito, così siamo passati in questi anni da 120mila articoli di legge a 150mila, ma non si è in grado oggi di dare il totale esatto. Paese vicini a noi come la Germania ne hanno 6mila, la Francia 7mila, l’Olanda 5mila. Ovviamente il numero di avvocati diventa quasi il doppio degli altri Stati; se l’Italia è stata la culla del diritto, questo diritto sta diventando la sua tomba decretata rigorosamente su carta bollata in forma e modalità da definire.

La normazione fine a se stessa diventa un esercizio masochistico in cui il leguleio dà il meglio nel renderla incomprensibile e quindi inapplicabile. Così si può continuare nell’aumento della spesa corrente in cui trova linfa una corruzione a livelli più infimi, che è cresciuta in modo lineare di pari passo con il debito pubblico ad un ritmo sempre più veloce in cui non si capisce più nulla e fare un bilancio di un ente locale diventa un sudoku molto più difficile del bilancio di una multinazionale.

La corruzione nel Paese è ormai una performance aperta a tutti ed a differenza degli altri Paesi una ricerca dimostra che quasi tutti gli italiani sanno che vi è corruzione ma quasi nessuno sa chi possa farla: non so, non ho visto e se c’ero dormivo. Tutto gira nello stesso verso e tutto ha una sua intrinseca coerenza.

Gli organi di controllo si sono moltiplicati all’infinito per contrastare la corruzione, gli appalti truccati, i bilanci non in regola ma mai che una sola norma preveda l’applicazione di tecniche aziendali che consentono di tracciare il controllo dei processi. Queste tecniche si chiamano controllo di gestione, internal auditing, risk assessment, analisi dei rischi operativi normalmente applicati con successo dalle imprese che operano su processi e non su inutili tagli lineari come le troppe ed inutili spending review, organi di valutazione... messi in piedi forse per trovare spazi operativi ai tanti amici da accontentare. Infine per sigillare la sterilità del pensiero abbiamo un Patto di stabilità – legge finanziaria, pensato su Marte che ragiona su una logica di uniformità dei territori del Paese come se fossero tutti uguali. Aveva ragiona Ennio Flaiano quando scriveva a proposito del marziano atterrato a Roma, ma poi da allora si sono moltiplicati.

L’evidenza del gap fra cultura giuridica e quella aziendale è il risultato attuativo nei fatti di quella che avrebbe dovuto essere la norma anticorruzione nelle aziende, cioè il decreto legislativo n. 231/01 che introduceva nel 2001 la responsabilità delle imprese in mancanza di un modello di organizzazione e controllo “idoneo” ad evitare la commissione di reati presupposto che nel tempo hanno finito per diventare infiniti, si è riusciti ad inserire perfino il reato di “infibulazione”. La gravità della legge sta nella possibilità che in presenza di un reato commesso possa essere non considerato “idoneo” il modello di organizzazione e controllo adottato dalla società, nel caso può essere richiesta l’interdizione dell’azienda in questione.

Dal 2001 ad oggi sono passati 15 anni e non vi è stata una sola sentenza in grado di definire il concetto di idoneità, lasciando di fatto senza riferimento normativo quelle aziende di buone volontà che nonostante tutto non si sono viste riconoscere i loro sforzi. L’approccio giuridico è di tipo deterministico, in presenza di un reato possibile il modello non funziona, sarebbe come dire che in caso di rottura di un cuscinetto a sfera di una Ferrari in Formula 1 la scuderia non è “idonea” a correre le gare di quella competizione. L’approccio aziendale è di tipo probabilistico, che consiste nel ridurre la soglia di errore che rimane ineliminabile perché è la natura umana fatta in questo modo. Se la giustizia rimane una funzione e si limita ad applicare le norme e non diventa servizio, cioè azione in grado di promuovere comportamenti virtuosi, rimane un ostacolo verso la riduzione della corruzione e dei comportamenti lesivi del bene comune.

L’onerosità di un sistema normativo da Azzeccagarbugli dovrebbe essere drasticamente semplificato per evitare le mille scorciatoie e le infinite prescrizioni in cui sembra finiscano tutti i fenomeni corruttivi. Allora sarebbe necessario fare obbligo che d’ora in avanti per ogni nuova norma, per ogni nuovo comma, per ogni nuova legge se ne cancellino almeno dieci pena la sua inapplicabilità.

Ora in un quadro così confuso l’incertezza e la scarsità di competenze specifiche regnano sovrane: invece di discutere sui numeri della tombola e sulle nuove regole alimentando i conflitti e la confusione è ormai non più rinviabile ragionare sui princìpi e sulla loro reale applicabilità. Forse in questo modo anche noi, ormai sfiniti, finiremo di scrivere sempre le stesse cose da anni ripetendole all’infinito come una voce inascoltata nel deserto.

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:24