“Ponte” di sciocchezze

martedì 31 maggio 2016


Si approssimano a grandi passi le elezioni del 5 giugno e sempre più roboanti si susseguono le promesse elettorali del Premier Matteo Renzi. In visita ai Giardini della Biennale di Venezia, parlando coi giornalisti, il Presidente del Consiglio ha parlato di 500 milioni di euro di investimenti pubblici per le periferie già stanziati e il cui decreto, guarda caso, arriva a pochi giorni dal voto di Roma, città con la più estesa area suburbana d’Italia. Ma questo è stato solo un assaggino. Il bello è venuto subito dopo, quando Renzi ha solennemente rispolverato la madre di tutte le chimere: il ponte sullo Stretto. Facendo coincidere l’inizio di questa colossale bubbola con il presunto varo della altrettanto chimerica Salerno-Reggio Calabria, l’uomo che sta sottoponendo il Paese ad una sorta di training autogeno ha definito l’ambizioso progetto come “la Napoli-Palermo dell’alta velocità.”

A questo punto, facendo un sommario riepilogo della montagna di annunci che hanno accompagnato gli oltre due anni del suo Governo, a Renzi resta solo lo sbarco su Marte per completare la sua strabiliante enciclopedia delle balle spaziali. Battute a parte, l’ennesima incursione di questo giovanotto nel mondo dei sogni dimostra ancora una volta che tra la sua smodata ambizione e la brutale realtà dei numeri e delle cose vi è uno spazio siderale. Una realtà la quale ci dice, in estrema sintesi, che la pessima allocazione delle enormi risorse pubbliche, unita alla condizione sempre molto traballante del bilancio, allo stato attuale non solo rende inverosimile il citato ponte sullo Stretto, ma impedisce persino una adeguata manutenzione del sistema infrastrutturale di base. Ciò vuol dire, per meglio chiarire il punto, che se si fa fatica a finanziare il rattoppo di una rete stradale ridotta come un percorso di guerra, mi resta difficile credere alla fattibilità di un così mastodontico progetto.

In termini più generali, e al di là del ponte in oggetto, l’ammodernamento infrastrutturale di un Paese indebitato fino al collo come il nostro non può essere realizzato facendo ulteriormente ricorso a nuovi prestiti. Occorrerebbe invece riqualificare una spesa pubblica nella quale il capitolo per gli investimenti trova sempre meno spazio, a tutto vantaggio di quei piccoli e grandi carrozzoni assistenzialisti che fanno sempre molto consenso. Se poi, come nel caso del nostro ineffabile primo ministro, si investe tutto nelle mance elettorali, giocandosi alla roulette della politica ogni fiche del cosiddetto dividendo Draghi, tutto il resto assume il valore di una pura presa per i fondelli. Per non dir di peggio.


di Claudio Romiti