La Fed e l’asino di Buridano: un dilemma “cornuto”

martedì 7 giugno 2016


La Fed a fronte delle scelte che deve fare rappresenta, oggi, il paradosso dell’asino di Buridano, che incapace di scegliere tra due mucchi di fieno esattamente uguali accompagnati dalla stessa quantità di acqua finisce per morire di fame e di sete. Il paradosso rappresenta il dilemma a cui si trova di fronte la Fed, perché qualunque decisione possa prendere o sia in grado di prendere – alzare o mantenere invariati i tassi sul debito – il problema di un rischio sistemico di default finanziario non viene risolto ma solo differito. Come Lehman lo sapremo il giorno dopo, perché la gente non vuole mai vedere la verità fino a quando non gli scoppia in faccia.

Il pensiero unico monetarista eretto a verità incontrovertibile grazie ad un sistema di relazioni tossiche tra accademia, politica e finanza ha finito per divorare se stesso esattamene come Saturno divorava i propri figli inondando di una liquidità senza un controvalore reale il mondo della finanza, separandola totalmente dall’economia reale a cui dovrebbe, invece, sottostare.

Dal momento in cui la moneta è stata separata dalla convertibilità in oro nel 1971, il mondo della finanza ha seguito un suo percorso di sviluppo astrale ma funzionale a sostenere interessi sovraordinati al mondo reale, assumendo un ruolo di governo funzionale all’esercizio di una forma di “macrousura” geopolitica. La Fed in tutto questo ha avuto gravissime responsabilità delle quali dovrebbe essere chiamata a rispondere rispetto all’uso spregiudicato del capitalismo finanziario che, dopo avere spolpato l’economia reale, ha gettato gli Usa ed il mondo nel turbine della tempesta monetaria.

Dopo la crisi del settembre 2008, l’unica soluzione è stata affidata alla trappola mortale del Quantitative easing (Qe), che ha aumentato la massa monetaria ma non ha prodotto effetti sulla reale crescita del Paese, che in mancanza di una vera attività manifatturiera delocalizzata è diventato ostaggio degli indici finanziari e della moneta in una logica di breve tempo che distrugge ma non costruisce tipico della sindrome della locusta. I risultati della finanza deregolamentata si riflettono in una situazione di rischio default socioculturale senza precedenti espressi dai seguenti fatti: 1) finanziarizzazione dell’economia reale e concentrazione della ricchezza sempre più polarizzata verso l’alto, crollo della classe media che è il lievito delle civiltà occidentali; per la prima volta da un secolo le famiglie della classe media non sono più la maggioranza del Paese. Amplificazione fuori controllo di una povertà senza sistemi di welfare (il 18 per cento del Pil rispetto alla media europea del 30 per cento); 2) crollo dell’occupazione manifatturiera (11 per cento del Pil) a favore di quella dei servizi (23 per cento del Pil), conseguente crescita della disoccupazione mascherata con la sottoccupazione che manifesta un progressivo crollo delle rendite delle famiglie (la caduta dei salari fino all’80 per cento), un conseguente calo dei consumi e un crescente disagio sociale represso da un sistema carcerario che mette gli Usa al primo posto al mondo per incarcerazione. Il sistema carcerario affidato ai privati è diventato un enorme business che condiziona le scelte politiche; 3) concentrazione degli istituti di credito che diventano una sorta di autorità governativa in grado di influenzare le scelte della politica (too big to fail); la cancellazione della Glass-Steagall Act ha generato una concentrazione di potere antidemocratico in mano a poche istituzioni finanziarie, un oligopolio a tutti gli effetti spacciato come democrazia; 4) cultura della liquidità a breve e massimizzazione dei valori finanziari tramite una sistematica manipolazione dei dati. La crescita del Dow Jones è determinata dal buy-back delle multinazionali che comprano con i profitti (circa il 95 per cento degli stessi secondo Bloomberg) ed a debito con tassi infimi le loro azioni, alterandone il vero valore ed aumentando la massa di liquidità a debito che sostiene il gioco speculativo. L’aumento del valore delle azioni e l’illusione fittizia della crescita è stato determinato almeno per il 50 per cento dalle operazioni di buy-back (fonte: Morgan Stanley).

Gli effetti della finanziarizzazione diventano una trappola mortale perché la ricerca del surplus azionario fittizio si scarica su salari sempre più bassi e con bassi tassi di interesse costringe i pensionati a consumare i loro risparmi. Tutto esattamente il contrario della politica industriale di Henry Ford, che aveva messo in macchina il Paese anche grazie agli aumenti salariali concessi ai suoi dipendenti per i quali era stato duramente criticato dall’establishment finanziario che non cambia mai. Come dice Warren Buffet, le quotazioni gonfiate potrebbero precipitare di colpo perché tutto il sistema è entrato in loop.

Di fronte ad un sistema che sta collassando sembra che tutto dipenda dalle mosse della Fed sul rialzo o meno dei tassi, ma nella specifica situazione “l’asino di Buridano/Fed” si trova alle prese con un dilemma “cornuto” perché qualsiasi decisione non modifica l’entropia del sistema che hanno generato.

Se aumenta i tassi spinge le imprese a scaricare sui prezzi le attese di crescita, a scapito dei salari e dei risparmiatori a reddito fisso che hanno investito sulla base di una bassa inflazione che verrebbero spazzati via, e gonfia il debito pubblico. Se la Fed decide di mantenere un basso livello di inflazione, circa il 2 per cento, peraltro irrealistico, favorendo il trasferimento di parte dei profitti sui salari riducendo i margini finanziari ma contro gli interessi degli azionisti. L’operazione ridurrebbe i margini di profitto delle imprese e dei bonus aziendali a cui nessuno vuole rinunciare, quindi il mantenimento dei bonus comporterebbe licenziamenti ad effetto domino.  

La realtà è che sono in trappola e qualunque decisione prendano non servirà a nulla perché la vera decisione non è finanziaria ma di politica sociale e le elezioni lo dimostrano. Infatti, sia Trump che Sanders hanno messo al centro del dibattito il declino dei salari e della classe media. Un direttore di Hedge Fund, Nick Hanauer, ha chiaramente detto: “Se non facciamo nulla per risolvere le evidenti ingiustizie economiche, verranno a cercarci con i forconi. Nessuna società può sostenere questa crescente disuguaglianza, non c’è nessun esempio nella storia dell’uomo in cui sia stata accumulata ricchezza a questo modo ed alla fine non siano arrivati i forconi”.

È proprio vero, perché nella storia dell’uomo le società sono sempre e solo crollate per guerra o per classe e gli Usa sono l’unico Paese occidentale che non ha vissuto una vera rivoluzione sociale. Alla luce delle precedenti considerazioni non è casuale che molti ritornino a studiare il “plusvalore” di Marx ed il buon senso di Keynes così, oggi, l’asino di Buridano/Fed rischia davvero di morire incapace di decidere perché la verità sta in un altro campo.

(*) Ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi


di Fabrizio Pezzani (*)