Bezos sulla società   della conoscenza

Qualche giorno fa, nella sua visita a Firenze, Jeff Bezos ci ha ricordato che il futuro che ci attende è nell’intelligenza artificiale, in un contatto più diretto tra produttore e consumatore e nella crescita di quella che viene chiamata burotica e cioè l’automazione e l’organizzazione di un pensiero che si manifesta al verificarsi di eventi e comportamenti in grado di aumentare le possibilità di servire meglio il cliente, ma anche di vendere di più ed a minor costo. La burotica fa fluire le informazioni verso i robot addetti ai magazzini che raccolgono i prodotti e danno il via alle spedizioni.

Il geniale terzo uomo più ricco del mondo è ottimista sul futuro e sulle opportunità che deriveranno da un sempre maggiore impiego di tecnologia in ogni attività umana e non c’è dubbio che per moltissime persone di talento si aprono grandi opportunità. Serviranno eccellenti teste per studiare algoritmi e software sempre più sofisticati e vicini al modo di ragionare degli uomini, ma queste opportunità per molti sostituiscono proprio quella classe media che si è affermata nella seconda metà del secolo scorso e che oggi è sotto attacco nei Paesi avanzati. Basta riflettere un attimo per accorgerci del perché la cosiddetta middle class è destinate a diminuire, in numero, sempre di più in futuro e sul perché si allarghi la forbice tra coloro che sono in grado di mettere a pieno frutto il proprio talento e coloro che esprimono una prestazione “media”.

Amazon ha i più bravi tecnici nella gestione dei processi informatici nella vendita, ma per quanto possano essere numerosi (e lo sono) non bastano a compensare fasce impiegatizie dotate di competenze più comuni ed esposte, insieme a sportellisti bancari, impiegati amministrativi, personale una volta detto “di concetto”, al diffondersi dell’intelligenza sia delle macchine che delle operazioni che ormai anche i clienti sono in grado di fare.

Si generano certamente anche lavori più umili. Le aziende hanno bisogno da una parte di teste e dall’altra, come Amazon, di persone in grado di confezionare, di consegnare pacchi, di rispondere più o meno automaticamente ai reclami o ai problemi collegati alla vendita. Di tante figure però sostituibili, in competizione fra loro e spesso addette a lavori che chiunque può svolgere. Le prestazioni medie sono mediocri rispetto alla precisione dei sistemi e non hanno cittadinanza in questo contesto. O si riesce a passare nel novero degli operatori della conoscenza e fornire prestazioni eccellenti o si finisce col diventare supporti di quanto ancora la macchina non può fare, ma condannati a redditi bassi ed a competere con coloro che entrano nel mondo del lavoro di ogni razza e colore.

Obama ha fatto miracoli per contrastare la disoccupazione, ma molti americani non sono affatto contenti perché, pur avendo un lavoro che avevano perso, sono ormai fuori dalla classe media e competono con i concittadini a più basso reddito che sono spesso immigrati. E questo è il malcontento sociale che sta oggi cavalcando Donald Trump.

Da noi, sotto sotto continuiamo a pensare (o almeno speriamo) che prima o poi passerà la tempesta ed usciremo da una delle più serie crisi della storia. La speranza è l’ultima a morire, ma dovremo presto rassegnarci al fatto che la crisi che ormai dura da quasi un decennio non è congiunturale ma è un segnale dell’avvenuto passaggio dalla civiltà industriale a quella postindustriale. È iniziata l’era dei knowledge worker, dei produttori di conoscenza e dell’eccellenza delle prestazioni. Lo spazio per quelli che stanno in mezzo, sottoposti all’attacco di robotica, burotica, delocalizzazione, si va riducendo. Questa è l’altra faccia della medaglia che Jeff ci ha rappresentato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:18