Questo Ttip non s’ha   proprio da fare

Il Ttip, il trattato che punta a creare un’area di libero scambio commerciale tra Stati Uniti ed Europa non si farà: parola di Sigmar Gabriel, vicecancelliere e ministro dell'Economia e dell'Energia nel terzo Governo Merkel.

Per quanto sembri incredibile che una buona notizia possa venire da un politico tedesco, bisogna prestargli fede e tirare un sospiro di sollievo. Saranno contenti i piccoli e medi imprenditori del Vecchio Continente che sarebbero stati travolti dall’apertura illimitata del mercato all’altra sponda dell’Atlantico. Nel recente passato le classi dirigenti dell’Unione europea hanno combinato una serie infinita di cavolate che ci ha portato esattamente dove siamo: alla crisi occupazionale diffusa, alla stagnazione cronica e alla crescita insoddisfacente del Pil dell’area.

L’essersi concessi alla globalizzazione senza alcuna riserva, l’aver abbattuto unilateralmente tutte o quasi le barriere erette a protezione dei sistemi produttivi locali, per il Vecchio Continente è stato come per un attempato signore fare sesso senza precauzioni. Ora ci si accorge, tardi, che si è corso troppo in fretta mentre sarebbe stato più salutare “aprirsi” al mercato globale con maggiore gradualità ricordandosi che il principio di precauzione non è acqua fresca. Che abbiano recuperato il senno i nostri padroni europei? Che l’idea di consegnarsi totalmente alla forza egemone delle multinazionali d’Oltreoceano gli abbia provocato più di un brivido alla schiena? È pur vero che sia la Germania della signora Angela Merkel, sia la Francia di Franςois Hollande devono affrontare a breve la prova delle elezioni e, con l’aria che tira, non si vorrebbe aggiungere benzina sul fuoco della protesta popolare intestandosi un accordo gradito agli speculatori finanziari e alle multinazionali ma indigesto per le popolazioni. Probabilmente sono vere anche le preoccupazioni di ordine geopolitico che alcuni osservatori hanno voluto cogliere nel passo indietro delle ultime ore. È chiaro che la creazione di un’area di libero scambio a Ovest metterebbe fuori gioco le potenze dell’Est del mondo che da questo accordo sono escluse. Russia e Cina in testa. Ora, si dà il caso che l’Europa dell’asse franco-tedesco fa affari d’oro con quei Paesi, molto più di quanti ne faccia con l’alleato statunitense. Si saranno chiesti frau Merkel e soci: vale la pena tendere ulteriormente la corda con i partner orientali spalancando le porte del mercato interno europeo all’ingresso incontrastato delle produzioni e dei capitali made in Usa? D’altro canto, tutti sanno che un’integrazione commerciale Usa-Europa non sarà mai un patto tra pari. Troppo forti gli “States” per non far temere un’invasione della quantità a buon mercato a scapito della qualità del “piccolo ma bello” di molte produzioni europee.

A costo di dare un dolore, l’ennesimo, ai “liberoscambisti” di casa nostra che piangono già amare lacrime per l’annuncio dello stop al negoziato transatlantico ma è un gran bene se il Ttip vada a gambe all’aria. L’Unione europea, se davvero vuol fare qualcosa di utile per le sue comunità nazionali, convinca i suoi membri a beccarsi meno come i manzoniani capponi di Renzo e ad essere più astuti e coordinati nel muoversi su tutti gli altri mercati cercando di non farsi le scarpe a vicenda. Non si vive di sole stelle e strisce. Con ciò non vuol dire che si debba fare la guerra commerciale agli Stati Uniti. Al contrario. Soltanto, va salvaguardata la regola aurea per la quale chi viene a vendere i suoi prodotti a casa nostra debba rispettare le regole di tutela dei consumatori che l’Europa si è data. Niente concorrenza sleale: il tempo delle “libere volpi in libero pollaio” è finito e indietro non si torna. Se si cede su questo punto l’Unione europea si sfascia. Altro che Brexit. Merkel e Hollande, che sprovveduti non sono, l’hanno capito prima degli altri. Come sempre.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:27