Entrate una tantum e tasse di domani

Era inevitabile che almeno formalmente i vertici europei estraessero il cartellino giallo nei confronti di una cospicua quota delle coperture inserite dal Governo dei miracoli nella legge di bilancio. Trattasi in particolare, come avevamo già segnalato su queste pagine, di due provvedimenti straordinari: il condono mascherato insito nell’operazione Equitalia e il cosiddetto Voluntary Disclosure bis.

Da queste due misure i tecnici del ministro Pier Carlo Padoan contano di ricavare circa 6 miliardi di euro. Una somma di poco inferiore alla grande mancia previdenziale messa in cantiere dai rottamatori al potere. Ma il problema di fondo è che, così come in matematica risulta piuttosto arduo sommare pere e mele, stiamo parlando di due entità finanziarie incompatibili all’interno del nostro già traballante bilancio pubblico.

Infatti, come giustappunto sottolineato dagli esperti di Bruxelles, risulta quanto mai scorretto inserire a copertura di uscite certe e strutturali entrate una tantum e, per soprammercato, piuttosto ballerine dal lato del gettito reale. Anche perché - e ce lo ricorda nel corso di un suo programma radiofonico un buon estimatore di Matteo Renzi del calibro di Sebastiano Barisoni - quello che entra in maniera transitoria nel bilancio ci ricadrà sulla testa al prossimo giro, quando si dovranno escogitare altre misure per tappare le falle della dispendiosa macchina elettoralistica del genio fiorentino.

Tuttavia, proprio sul piano delle sacrosante critiche mosse dall’Europa lo stesso ministro Padoan, sempre più intriso di tecnica comunicativa renziana, ha risposto con un argomento surreale, almeno per quel che concerne i proventi previsti dall’abolizione di Equitalia. In sintesi, a suo dire una riscossione riformata da sola sarebbe in grado di far aumentare in maniera stabile il gettito tributario allargato. Forse che cambiare nome al medesimo ente di riscossione, il quale comunque sia è chiamato a sostenere il più feroce regime fiscale dell’Occidente avanzato, dovrebbe di per sé funzionare come un incentivo a far pagare a tutti le odiate tasse? Se il nostro ministro dell’Economia, nel sostenere la sua tesi, ha in mente la famosa curva di Laffer, sarebbe il caso di ricordargli che, al netto dei saldi elettorali previsti con l’abolizione di Equitalia, le piccole e medie imprese continuano a sopportare una pressione fiscale che arriva a sfiorare il 70 per cento del reddito prodotto. E tale resterà questo mostruoso prelievo, pannicelli caldi a parte, se non si metterà finalmente mano al capitolo molto impopolare dei costi sostenuti dallo Stato.

Esattamente la linea opposta a quella seguita dal giovane premier toscano, il quale continua come un forsennato a premere sull’acceleratore della spesa corrente, caricandone il costo sulle generazioni future, e raccontando proprio ai settori economici che le tasse stanno scendendo. Se sale la spesa pubblica aumentano le imposte o, in alternativa, cresce l’indebitamento, ossia le imposte di domani. Tertium non datur.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:27