Alstom, l’ultimo treno di Hollande

Per i media francesi è uno “psicodramma politico-economico”. La possibile chiusura, nella regione Bourgogne-Franche-Comté, del sito Alstom di Belfort, dove si fabbricano locomotive per treni merci e motrici per treni ad alta velocità (Tgv) equivale non solo alla perdita di circa 500 posti di lavoro ma avrà un impatto violento sul bacino industriale dell’intera zona, considerata simbolo dell’industria francese. Per questo il governo ha deciso di intervenire, in quello che il sottosegretario all’industria, Christophe Sirugue, assicura non essere “una decisione elettoralistica o politica, ma un piano alternativo ambizioso”, che prevede un investimento dello Stato pari a 450 milioni di euro, per nuovi 15 nuovi Tgv per la linea intercity Bordeaux-Marsiglia. Basterà?

Gli analisti s’interrogano, e temono che il piano ambizioso si trasformi in un flop demenziale. Per almeno 4 ragioni. I nuovi 15 Tgv ordinati dal governo dovrebbero percorrere tratti intercity che come tali non sono ancora strutturati per treni che vanno a 320 chilometri orari: sulla linea Marsiglia-Bordeaux i convogli viaggiano al massimo a 200 all’ora. Dunque, se non si vuole o non si può intervenire sulle rotaie, i Tgv saranno costretti a marciare a velocità ridotta. Il tutto per costi piuttosto alti: 30 milioni per ogni Tgv, più del doppio di un convoglio intercity, e con un consumo di elettricità superiore del 30 per cento. Il governo assicura comunque che i nuovi treni verranno successivamente utilizzati per due future linee ad alta velocità come la Bordeaux-Tolosa e la Montpellier-Perpignan, che verranno inaugurate nel 2025. Il tutto in un momento in cui sulla Sncf gravano debiti per 50 miliardi di euro, che potrebbero compromettere la strategia chissà quanto improvvisata della “tgvizzazione” delle ferrovie.

Secondo il ministero dell’Industria, il piano statale da 450 milioni potrebbe mettere in sicurezza, oltre ai 450-480 esuberi di Belfort, anche altri impieghi minacciati in altri siti, per un totale di 1500 posti salvati, e per un costo totale per le casse pubbliche di 770 milioni di euro: 513mila euro per ogni impiego mantenuto. Perché oltre ai 450/500 milioni per i 15 Tgv della linea Bordeaux-Marsiglia, si devono aggiungere 200 milioni per 6 Tgv della linea Parigi-Torino-Milano che erano in corso di trattava tra Sncf e Alstom, 30 milioni (sborsati dalla Sncf) per 20 locomotive di soccorso e altri 30 milioni, stanziati da governo, Alstom e Ademe (Agenzia pubblica dell’ambiente e l’energia) per lo sviluppo del Tgv di quinta generazione. L’iniziativa del governo, tuttavia, può porre problemi a livello giuridico, perché nel nome della concorrenza le regole Ue impongono un’asta a livello europeo.

Bruxelles, insomma, potrebbe bloccare tutto e considerare la produzione di treni Tgv per reti ferroviarie intercity come un aiuto di Stato ad Alstom, anche se i nuovi ordini sono stati possibili in virtù di un contratto quadro del 2007 tra la stessa azienda e la Sncf, che permette di sbloccare rapidamente commesse di treni senza passare per bandi di gara. Nel recente passato, fa sapere il quotidiano Le Monde, lo Stato francese si è già impegnato per tutelare l’occupazione. Con successo, come nel caso di Peugeot nel 2014, anche se il prezzo da pagare fu comunque alto, perché 2 anni prima il governo non riuscì a salvare i 3mila posti dello stabilimento Psa di Aulnay-sous-Bois, chiuso definitivamente nel dicembre 2013. Ed è di pochi giorni fa la notizia che, nel 2017, il gruppo taglierà 2133 posti nelle fabbriche francesi, quasi tutte partenze volontarie. Ma siamo proprio sicuri, si è chiesto il quotidiano economico Les Echos, che Alstom sia un’azienda in difficoltà? Il gruppo ha appena chiuso un affare per costruire vagoni metro a Dubai, e l’estate scorsa ha vinto una gara per Tgv sulla linea Boston-Washington, per treni regionali in Italia e per la metro di Lima. Alla fine del 2015, poi, aveva ottenuto la fornitura di 800 locomotive in India. Nella città industriale di Widnes (Regno Unito), Alstom sta costruendo un centro di formazione e manutenzione che darà lavoro a 600 persone. A settembre, infine, ha ricevuto il premio per il miglior fornitore dell’anno dalla tedesca Deutsche Bahn.

Non proprio un’azienda moribonda, dunque. Che però sa benissimo come tagliare i suoi rami secchi, che in questo caso è il settore merci, che su rotaia ormai rappresenta meno di un decimo del trasporto complessivo (dal 2000 ad oggi il crollo è superiore al 40 per cento), laddove in altri Paesi come la Germania il traffico merci su rotaia è aumentato di un terzo. In questi 16 anni, i governi francesi hanno incoraggiato esclusivamente il trasporto su gomma, autorizzando per esempio nel 2011 la circolazione di mezzi ancora più pesanti (44 tonnellate invece che 40). La stessa Sncf ha investito poco nelle merci per puntare tutto sull’alta velocità, tanto è vero che lo stato delle rotaie riservate al trasporto sembra essere in condizioni pietose. I convogli stessi non sono da meno: ormai impiegano tre giorni per attraversare tutta la Francia, e una volta attivato l’impianto di frenata pare che comincino a rallentare solo dopo 20 secondi. Le rigidità non mancano. Per esempio, occorre prenotare la circolazione di un treno merci con 18 mesi di anticipo; capita spesso che alla fine della settimana un terzo dei conducenti non abbia ancora ricevuto la tabella di marcia per quella successiva. Nonostante dubbi e perplessità, la Cfdt considera il salvataggio del sito di Belfort da parte dello Stato “la vittoria di un’azione sindacale esemplare, che ha portato i suoi frutti”.

Morale: crederci sempre, mollare mai. E continuare a vigilare, perché il diavolo, com’è noto è nei dettagli, soprattutto a elezioni avvenute. Il pericolo vero, dunque, è dopo il 2017, quando programmi e promesse potrebbero essere rimessi in discussione dopo le presidenziali.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:24