Sui buoni lavoro un vero capolavoro

sabato 18 marzo 2017


Pochezza del Governo e goffaggine del sindacato che, ancora una volta, pur di dimostrare di esistere lo fa sulle cose sbagliate e sui principi inutili. Cgil, Cisl e Uil hanno lasciato approvare leggi vergognose - come la Fornero - e rimedi peggiori, come quello dell’Ape, e poi sui voucher si sono impuntati.

L’abolizione dei buoni lavoro è solo la conferma della debolezza del Governo e della miopia di un sindacato vecchio e fuori dal tempo. Quello sui voucher, infatti, è una delle tante, troppe battaglie a perdere di una triplice che ha completamente perso il passo con la società e con le esigenze di oggi. Camusso, Furlan e Barbagallo, infatti, anziché incalzare senza tregua il Governo sulle pensioni d’oro, sui furbetti del cartellino, sui privilegi o sui falsi invalidi, preferiscono lottare sulle poche cose utili.

I voucher in fondo, seppure migliorabili nella regolamentazione, rappresentano indubbiamente uno dei pochi passi avanti di contrasto al lavoro nero. Ecco perché aver spinto, con lo spauracchio del referendum, un Governo debole e precario a scegliere di abolirli del tutto, è l’ennesimo autogol. Eppure di temi sui quali dimostrare attenzione e potere contrattuale ce ne sarebbero, a partire da una seria modifica della Legge Fornero, che ha devastato diritti e aspettative dei lavoratori. Quegli stessi diritti che per i pensionati d’oro, i parlamentari e per i consiglieri regionali non si possono toccare perché “acquisiti”.

Insomma, la Legge Fornero dimostra che per la politica e per i sindacati in Italia esistono diritti di serie A e di serie B. Del resto se così non fosse, accanto alla famigerata legge si sarebbe dovuta pretendere l’abolizione di tutta una serie di privilegi pensionistici che ci costano una barca di miliardi. Invece nulla di nulla, la Legge Fornero imperversa ancora, mentre sui voucher si erige un muro. Senza i buoni lavoro la situazione peggiorerà, le entrate previdenziali diminuiranno e il lavoro nero aumenterà. Bel capolavoro, punto e a capo.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca