La politica torni ad occuparsi di moneta

È ampiamente noto che uno Stato sovrano può finanziare il proprio disavanzo in due modi: anzitutto, può richiedere un prestito, emettendo titoli di debito pubblico; in secondo luogo, può creare nuova moneta. In entrambi i casi, le banche centrali svolgono un ruolo chiave.

Su questo ruolo hanno avuto un impatto profondo le norme sull’unione monetaria europea, che hanno introdotto – tra l’altro – una logica “competitiva” nella ricerca dei mezzi di finanziamento, costringendo gli Stati aderenti a reperire risorse unicamente con il ricorso ai “mercati”. Gli articoli 123 e 125 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, infatti, impediscono alla Banca Centrale Europea di intervenire direttamente a sostegno della politica monetaria degli Stati membri.

Tutto ciò ha contribuito all’attuale crisi dei debiti pubblici, lasciando i Paesi dell’euro-zona senza la copertura di un “prestatore di ultima istanza”, e dunque in balia degli umori dei mercati finanziari. Si noti che la citata funzione di “prestatore di ultima istanza” può concretizzarsi in due diverse attività: da una parte, nel concedere prestiti alle banche in crisi di liquidità (compito che viene svolto anche dalla Banca Centrale Europea); dall’altra, nell’acquisto di titoli del debito pubblico nel caso in cui non siano assorbiti dal libero mercato.

Vi è da ricordare che nel 1971 il presidente americano Richard Nixon denunciò gli Accordi di Bretton Woods (1944) sui quali si fondava il cosiddetto “golden standard”, ossia un sistema di  cambi fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all’oro; da quel momento, l’emissione di moneta non sarà più legata all’ammontare delle riserve metalliche detenute da ciascuna banca centrale, ma dipenderà unicamente dalle scelte di politica economica, incontrando dei limiti soltanto nella tutela contro il pericolo inflazionistico. Fino agli anni ’80 del secolo scorso, mentre la Banca d’Italia si era occupata di garantire la copertura del debito pubblico, il Governo orientava l’emissione di moneta in favore dello sviluppo e della piena occupazione (in verità, con qualche “vizio” legato al clientelismo). In anni più recenti, invece, soprattutto a causa della scelta di aderire al Sistema Monetario Europeo, l’autonomia rispetto alla controparte politica si è accentuata.

Uno degli ambiti dove è stato più evidente il progressivo “sganciamento” dal controllo del Governo è proprio l’acquisto dei titoli del debito pubblico; quest’ultimo non sarà più sostenuto con l’emissione di nuova moneta né con l’acquisto diretto dei titoli da parte della Banca Centrale.

Se in precedenza era tenuta a sottoscrivere i titoli di debito pubblico non collocati sul mercato, nel 1981 si verificò il cosiddetto “divorzio” tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, con l’accordo dell’allora ministro Beniamino Andreatta e il governatore Carlo Azeglio Ciampi. In questa evoluzione, non soltanto giocò un ruolo determinante la posizione della Germania, ma una simile scelta fu avvalorata dall’affermarsi delle tesi monetariste. Gli economisti della scuola di Chicago cominciarono infatti a sostenere la necessità che le banche centrali dovessero occuparsi esclusivamente del livello dei prezzi, imponendo una netta separazione tra queste e la politica.

La crisi divampata nel 2008, nel momento in cui iniziò ad aggredire i debiti pubblici, mettendo a rischio la stabilità degli Stati dell’eurozona, inaugurò per la Banca centrale europea una nuova fase, che richiese un maggior coinvolgimento con la sfera politica per mitigare le turbolenze dei mercati. A partire dal 2010, infatti, è riconosciuta alla Bce la facoltà di intervenire nei mercati secondari dei titoli di debito pubblico, ossia di acquistare titoli di Stato “già in circolazione”, a patto che il richiedente abbia avviato un programma di aiuto precauzionale con lo European Financial Stability Facility ovvero con lo European Stability Mechanism, sul presupposto che il divieto contenuto nell’art. 123 T.F.U.E. si riferisca esclusivamente all’acquisto diretto, ossia all’acquisto dei titoli al momento dell’emissione. Oggi, di conseguenza, il finanziamento del debito pubblico deve sì fare ricorso al “libero mercato”, ma con il nuovo paracadute della Bce.

L’unione monetaria europea, nella sua impostazione ideologica “liberista”, ha costretto gli Stati membri, per finanziarsi, a ricorrere esclusivamente alle logiche del mercato e delle sue agenzie di rating; così facendo, però, si è dimostrata miope, poiché non ha tenuto in debita considerazione tutti i rischi che una simile situazione avrebbe potuto generare in assenza di idonee garanzie (come ad esempio, l’esistenza di un prestatore di ultima istanza).

I nuovi interventi della Bce, seppure abbiano in parte scardinato il paradigma originario, non sono riusciti finora a far ripartire la crescita; l’immensa massa monetaria riversata nei mercati finanziari non ha avuto altro esito che gonfiare ulteriormente le nuove bolle speculative, senza alcun beneficio per l’economia reale, fatta di individui concreti e di famiglie.

Questo dimostra, pertanto, le innegabili imperfezioni di un mercato finanziario lasciato a se stesso e la necessità di un’azione forte della politica, che deve riacquistare la parte della protagonista, anche nei confronti delle banche centrali.

Aggiornato il 27 maggio 2017 alle ore 07:50