Il Ceta apre allo stato di polizia delle multinazionali

Il Ceta è un accordo antidemocratico, che favorisce le multinazionali a discapito di piccoli e medi imprenditori agroalimentari: questa definizione potrà non piacere ai paladini del politicamente corretto, ma è la sacrosanta verità. Oltre a non avere nulla a che fare con il bucolico concetto di libero scambio, ha il demerito di spalancare la porta dei governi nazionali alle multinazionali: ovvero ad aziende che inseguono il profitto a discapito anche dei diritti umani. Il negoziato che ha portato al Ceta s’è consumato in seno all’Unione europea in un clima di opacità e scientifica disinformazione.

Per Ceta s’intende “Comprehensive Economic and Trade Agreement”, letteralmente “Accordo economico e commerciale globale”: nel caso in questione interessa Ue e Canada. L’accordo prevede che, se le multinazionali si dovessero ritenere penalizzate da qualsivoglia decisione di uno Stato, potrebbero (anzi potranno) risolvere la controversia con una conciliazione, con un arbitrato o, in estrema ratio, portando a giudizio la nazione avversa presso una corte internazionale. In pratica il lupo si direbbe danneggiato dall’agnello e chiederebbe i danni.

Il Ceta è un patto leonino più che un accordo. Dobbiamo riconoscere che, il parlamento regionale belga della Vallonia (che insiste nel cuore dell’Ue) ha avuto il coraggio di bocciare l’accordo Ceta, ventilando come arbitrati e processi verrebbero gestiti da uomini e non da giganti in grado di sentenziare contro le multinazionali, contro i cosiddetti “potenti della Terra”.

I negoziati che hanno portato al Ceta sono durati cinque anni, dal 2009 al 2014: tra i tifosi italiani del Ceta c’era e c’è Mario Monti. Gli  Stati dell'Ue e i membri del Parlamento europeo hanno ricevuto il 5 agosto 2014 il testo completo, che è stato reso pubblico durante il summit Ue-Canada del 26 agosto 2015. Il 29 febbraio 2016 la Commissione europea e il Canada hanno annunciato di aver terminato la revisione legale della versione originale, che è stata poi firmata a Bruxelles il 30 ottobre 2016.

Il trattato è stato approvato in seno al Parlamento europeo il 15 febbraio 2017: 408 voti favorevoli, 254 contrari e 33 astenuti. Hanno votato a favore i tre principali gruppi, ovvero Ppe, Socialisti e Democratici, Alde, e Conservatori. Mentre hanno votato contro l’Europa delle Nazioni e della Libertà, l’Europa della Libertà e della Democrazia Diretta, i Verdi, Sinistra Europea e alcuni parlamentari spuri della varie identità e minoranze.

Va detto che il Ceta è un cosiddetto “mixed agreement”, cioè un trattato, a tal punto leonino, che deve essere comunque ratificato dai parlamenti nazionali di ognuno dei 28 Stati membri e parlamenti regionali: 38 assemblee chiamate a decidere convintamente sul Ceta. Se anche un solo parlamento nazionale o regionale dell’Ue bocciasse l’accordo, l’applicazione definitiva del Ceta non sarebbe più possibile, di conseguenza il trattato non potrebbe più entrare in vigore. Sarebbero stati gli stessi rappresentanti legali delle multinazionali a chiedere una ratifica così forte e convinta, in modo che in una qualsivoglia tenzone legale la condanna d’una nazione o di un popolo, con relativo risarcimento alla multinazionale, si rivelerebbe certa.

L’unico effetto chiaro del Ceta sembra l’eliminazione di gran parte delle tariffe doganali tra Unione europea e Canada: il 99 per cento delle barriere tariffarie tra le parti (come da accordi del 2014). Il resto di quest’accordo sembrerebbe segreto, riservato a pochi addetti ai lavori. Tra le altre disposizioni previste c’è la possibilità per le imprese europee e canadesi di partecipare alle rispettive gare d’appalto pubbliche (e qui s’inserirebbero i colossi multinazionali pronti ad aggredire l’Italia col il piano di messa in sicurezza d’immobili pubblici e privati). Soprattutto è labile la tutela del marchio di alcuni prodotti agricoli e alimentari tipici: solo quattro per l’Italia, il che manderebbe a male l’enorme produzione italiana, caratterizzata da una miriade di prodotti tipici.

Di fatto il Ceta non è che il primo passo, permetterebbe alle multinazionali d’entrare con un piede pesante nell’amministrazione di governi centrali e regioni. Non dimentichiamo che le multinazionali chimiche ed agroalimentari sono rispettivamente socie (e partecipano) alle società di security sia informatica che di sicurezza privata: obiettivo successivo di questi potenti della Terra è “collaborare” con le polizie dei singoli stati ad indagini su hacker informatici, possibili eversori e gruppi organizzati contro le cosiddette “regole del mercato”. Di fatto le multinazionali intendono, in un futuro molto prossimo, sostituirsi alle polizie, favorendo anche in Europa quel modello di stato di polizia già rodato (anche se ancora primitivo) nel centro e sud America, nonché nelle regioni diamantifere di Sud e Centro Africa.

Aggiornato il 23 giugno 2017 alle ore 22:27