Liberalizzazioni: ciò che si vede e ciò che non si vede

giovedì 7 dicembre 2017


L’indice delle liberalizzazioni, il rapporto che alla fine di ogni anno l’Istituto Bruno Leoni pubblica per verificare il grado di apertura dei mercati in settori tradizionalmente sottoposti a una forte regolamentazione (servizi a rete, lavoro, assicurazioni, etc.), mostra un mercato italiano relativamente aperto e in lento ma costante miglioramento. Da tre anni, da quando cioè l’Indice viene costruito sull’Europa a 28, l’Italia è passata dalla 13esima posizione alla sesta e ora all’ottava su 28. Gli indici e le classificazioni scontano inevitabilmente una serie di semplificazioni. In particolare, il loro dato sintetico finale contiene in sé una serie di condizioni molto diverse. Quello che si può leggere e interpretare dall’Indice, è disponibile nel rapporto stesso.

Ci sono elementi che, tuttavia, l’Indice non può cogliere. Esso guarda ad alcuni settori dell’economia, quelli dove la presenza dello Stato, e come imprenditore e come regolatore, è stata sempre pervasiva e che proprio grazie alle direttive europee hanno subito uno stimolo sistematico alla concorrenza. Tuttavia, non guarda, e non vuole guardare, ai micro-aspetti della quotidianità del mercato, quelli che impongono ad esempio per legge il periodo dei saldi, o il tetto agli sconti sui libri, o gli obblighi di insegna ai negozi, o i minimi tariffari (ora tornati di moda). E, anche nei settori indagati, per necessità svolge un’indagine “macro”, dalla cui prospettiva è difficile catturare una serie di elementi attuativi delle riforme introdotte obtorto collo. Vincoli e aspetti spesso così specifici da essere difficilmente rilevabili in un’indagine comparativa sulla libertà di impresa. Eppure, sono questi aspetti quelli che vivono quotidianamente sia gli operatori sia i consumatori, e che creano anche la cultura economica di un Paese.

Per questo, l’Indice delle liberalizzazioni quest’anno ha voluto dedicare un saggio introduttivo all’economia delle piattaforme on-line: quella che può cambiare (e in alcuni casi sta già cambiando) la vita di ognuno di noi e che però ogni giorno deve sopravvivere a vecchi e nuovi lacci regolatori. La paura del progresso è comprensibile, ma un Paese che la istituzionalizza finisce per condannare se stesso al declino.


di Istituto Bruno Leoni