L’Ue chiede Iva al 25%, l’Italia rimanda a dopo il voto

Questa legislatura si congeda con la solita beffa in danno dei contribuenti. Così mentre il governo uscente grida in piazze e tivù che c’è la crescita, gli uffici parlamentari (i tecnici) suggeriscono agli enti locali la necessità d’alzare le tasse, per coprire gli aumenti siglati nei contratti dei dipendenti pubblici. Aumenti che sarebbero avvenuti senza coperture.

Un deficit creato ad arte per agevolare la campagna elettorale dei sodali di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Così l’aumento degli stipendi ha determinato un buco di circa un miliardo e mezzo. Giuseppe Pisauro (vertice dell’autorità di controllo) è perentorio: “La sostenibilità potrebbe essere messa a rischio in caso di revisioni, senza copertura finanziaria nell’ambito dello stesso settore, del sistema previdenziale attuale, e in particolare dell’ultima rilevante riforma attuata a fine 2011, che consente notevoli risparmi anche in prospettiva”.

Così Pisauro anticipa che stanno per scattare le clausole di salvaguardia, che comporteranno entro la fine dell’anno l’aumento di aliquote Iva e accise su carburanti, alcolici e tabacchi. L’Unione europea è perentoria nel chiedere quanto prima l’aumento dell’Iva, la cancellazione d’ogni agevolazione fiscale e dei radicali tagli della spesa nei settori sanitari e trasportistici: ben 15 miliardi di euro che, se non verranno reperiti entro il 31 dicembre 2018, comporteranno a partire dal mese di gennaio del 2019 gli aumenti delle aliquote Iva del 25 per cento (e oltre) e l’inevitabile pressione fiscale complessiva salirà oltre il 68 per cento. La contrazione dei consumi all’indomani di queste misure spingerebbe l’Italia definitivamente nel baratro, a patto che non intervenga una nuova politica nazionalista in grado di mettere alla porta tutte le normative Ue e i diktat fiscali di Bruxelles. Non è certo un caso che Bruxelles abbia rimandato il giudizio sulla “Legge di Stabilità 2018” a dopo le politiche, e perché dall’Ue ritengono che queste misure possa attuarle solo un governo di “grosse koalition”: ecco perché il Presidente della Repubblica spera che Renzi, Gentiloni e Berlusconi vadano pari, per convincerli ad un governo debole e mediato, ancora più succube dei poteri forti europei.

In parole povere, il Partito Democratico (partito di maggioranza nel governo uscente) ha organizzato questo trappolone agli italiani confidando di diluirne la responsabilità con una “grosse koalition”. I democratici si dimostrano esecutori di un piano di rovina dell’Italia. In questo quadro desolante non va escluso un ritorno dell’Imu sulla prima casa, anzi di una variante alla Mario Monti, l’iscrizione di una ipoteca sull’intero patrimonio immobiliare italiano (pubblico e privato) presso la Banca centrale europea. Le speranze ora sono tutte riposte nella vittoria di forze che possano arginare la fame di mercati, finanza, Ue, Bce e speculatori internazionali (i cacciatori di crediti deteriorati).

Per il momento Berlusconi ha bocciato l’idea di una “grosse koalition”, affermando che in caso di pareggio si tornerebbe alla urne. Intanto qualche voce malevola suggerisce che i partiti di Pietro Grasso (Liberi e Uguali) e Luigi Di Maio (Movimento 5 Stelle) potrebbero offrirsi come esecutori delle volontà di Bruxelles.

Aggiornato il 16 febbraio 2018 alle ore 08:18