L’Italia del peccato

mercoledì 28 marzo 2018


Dal peccato originale al peccato “Capitale”. Inteso in senso marxista. Che cosa dunque rende l’Italia meno virtuosa rispetto a tutti i Paesi avanzati dell’Occidente? In attesa dello shock prossimo venturo che ci attende, arriva l’invito di Carlo Cottarelli a fare presto, stampato a chiare lettere nel suo ultimo libro “I sette peccati capitali dell’economia italiana” (Edizioni Feltrinelli 2018).

L’ex sfortunato commissario alla “spending review” ribadisce il suo giudizio di sempre: l’Italia non può più rinviare il risanamento del suo debito pubblico. E lo deve fare cambiando la struttura dello Stato e riducendone l’intervento in economia. Occorre, soprattutto, “efficientare” la funzione pubblica, ridurre il costo del lavoro e aumentare la produttività per ora lavorata. Soprattutto, va arricchito il capitale sociale oggi ridotto ai minimi termini, dato che l’Italia è penalizzata da altissimi tassi di corruzione, di evasione fiscale e dell’Iva.

Sul breve termine, ci dice Cottarelli nel corso della presentazione del libro, per tenere un po’ a bada i conti avvantaggiandoci della crescita dell’1,5 per cento su base annua, sarebbe sufficiente resistere alla tentazione di spendere le entrate ulteriori, risparmiando sui conti pubblici e raggiungendo così in 3/4 anni il mitico pareggio di bilancio.

L’ideale sarebbe di tagliare sia le tasse che le spese per rilanciare la crescita. Aiuti a pioggia come i mitici 80 euro non servono a una famiglia indebitata, che li usa per aumentare le scarse entrate piuttosto che spenderli. Ventilare l’uscita dall’Euro non è una soluzione ai nostri problemi, visto che provocherebbe la fuga dall’Italia degli investitori internazionali e un’inflazione permanente a doppia cifra.

Così come l’ipotesi di ristrutturazione del debito è un’arma spuntata, dato che l’80 per cento dei Bot è posseduto dalle famiglie italiane che ne uscirebbero pertanto fortemente indebolite.

Il principale dei sette peccati è la difficile convivenza con l’Euro, a causa dello spirito individualista e anarcoide degli italiani. Gli altri, invece, datano dall’Unità d’Italia o, come quello della decrescita demografica, sono di difficilissima soluzione. Per capire come siamo messi un dato fra tutti: dal 2000 il rapporto tra costi unitari di prodotto e costo del lavoro è cresciuto in Italia del 20 per cento, rimanendo invariato in Germania!

Rimedi? Ridurre drasticamente gli oneri burocratici gravanti su imprese e privati, così come quelli derivanti dall’evasione fiscale e dai tempi biblici della giustizia civile. Va, poi, superato il concetto dello Stato-Provvidenza che ne fa il risolutore di prima istanza per tutte le difficoltà del cittadino. Non è l’austerity (tedesca) a penalizzare l’Italia, ma il suo debito troppo alto! La salvezza sta nella crescita del Pil e nella riduzione, anche lenta ma progressiva, del debito pubblico. Occorre in ogni modo aumentare il capitale sociale: la scuola deve insegnare che le tasse sono necessarie e la corruzione va combattuta eticamente e materialmente.

Per ridurre lo sconcertante divario Nord-Sud bisogna parametrare produttività e salari decentrando la contrattazione aziendale, dato che al Sud il costo della vita è più basso del 15 per cento, migliorando il contrasto alle mafie che creano impedimento alla libera concorrenza. Un saggio vivamente consigliato ai vincitori delle elezioni del 4 marzo!

 


di Maurizio Bonanni