Dal deficit margini per Iva, reddito e pensioni

Con la nota di aggiornamento al Def il governo cerca più spazi per realizzare le misure chiave del contratto di governo. Tutto dipenderà da dove si fermerà l’asticella del deficit, sotto il 2 per cento del Pil o oltre questa “soglia psicologica”. Ecco le ipotesi di indebitamento di cui si discute in queste ore e le misure che si potrebbero attuare di conseguenza.

Deficit all’1,6% del Pil: partendo dal tendenziale indicato nel Def dal Governo Gentiloni allo 0,8 per cento, spostare l’obiettivo a questo livello libererebbe più di 13 miliardi. Una cifra che permetterebbe di coprire in pieno le clausole di salvaguardia sull’Iva (12,5 miliardi) lasciando uno spazio minimo (circa 1 miliardo) per altre iniziative “marginali”. Il pacchetto fiscale per le imprese dovrebbe infatti “autofinanziarsi” grazie al riordino di altri incentivi, come l’Ace, l’Iri o super e iperammortamenti. L’indebitamento all’1,6% permetterebbe comunque di ridurre il debito e non avrebbe conseguenze sull’andamento del deficit strutturale. Non creerebbe - secondo le indiscrezioni - problemi nel confronto con l’Ue.

Deficit all’1,9% sul Pil: in questo caso si rendono disponibili altri 5 miliardi, arrivando a 18,7 miliardi. La soglia sarebbe ancora sostanzialmente accettabile perché garantirebbe comunque un calo del debito ma non del saldo strutturale. Stando ai conti della Lega, quota 100 per la pensione costerebbe tra i 6 e gli 8 miliardi. Mantenendosi quindi sulla parte bassa della forbice si potrebbe quindi coprire il primo intervento di “smontaggio” della Legge Fornero, consentendo l’uscita a 62 anni e 38 di contributi. In alternativa si potrebbero sfruttare queste risorse per fare fronte all’aumento dei tassi di interesse sul debito dovuto all’effetto spread che, secondo primi calcoli potrebbe valere almeno 3 miliardi nel 2019, o finanziare le spese indifferibili che nel Def di primavera erano stimate in circa 3 miliardi e mezzo. Entrambe le voci potrebbero essere coperte con interventi una tantum come gli incassi della pace fiscale (stimati tra 3,5 e 5 miliardi il primo anno) e l’extragettito della gara per l’assegnazione delle frequenze 5G, con la base d’asta già salita a oltre 5 miliardi, rispetto all’incasso preventivato con la scorsa manovra di 2,5 miliardi.

Deficit al 2,1% del Pil: superare il muro del 2 per cento metterebbe a disposizione altri 3,4 miliardi (arrivando in totale a 22,1) che, sommati alle risorse già in bilancio per il Rei (2,6 miliardi) consentirebbero un avvio, magari da maggio, del reddito di cittadinanza a 780 euro.

Deficit al 2,4% del Pil: i miliardi a disposizione sarebbero così oltre 27 con i quali si potrebbe finanziare di fatto l’intera manovra. Allo stesso tempo però si rischierebbe la reazione negativa di Unione europea e mercati: le agenzie di rating hanno finora sospeso il giudizio sul debito italiano in attesa di verificare lo stato della finanza pubblica e potrebbero bocciare scelte giudicate troppo ardite. In ogni caso con queste risorse si potrebbe far partire immediatamente il reddito di cittadinanza o affiancarlo da metà anno con la pensione di cittadinanza. Oltre al deficit infatti vanno considerate anche le risorse che arriveranno dal taglio delle pensioni d’oro (qualche centinaio di milioni) e da una nuova tornata di spending review nelle intenzioni da 2-3 miliardi.

Aggiornato il 27 settembre 2018 alle ore 18:12