Italia, una Lehman Brothers al cubo

Molti Paesi nel mondo si trovano in situazioni critiche per enormi debiti o per situazioni di stallo o di conflitto politico ma ciò che rende il nostro paese diverso è che non è indipendente ma si trova all’interno di un’unione monetaria e se subisse un tracollo, come terza economia, manderebbe all’aria tutti gli altri paesi membri compresa la valuta comune. Sembra dunque di essere tornati al 2012 ma con una differenza cruciale: l’epicentro della crisi non è Grecia ma l’Italia e non esistono risorse per salvarla.

L’Italia ha il maggiore debito sovrano d’Europa, totalmente fuori controllo. Ha l’economia col rendimento peggiore: una crescita del Pil dell’1 percento a fronte di una spesa per interessi sul debito del 4 per cento, ergo una decrescita del 3 per cento. Ha il peggiore problema di crediti inesigibili la cui dimensione è, grosso modo, quella dei subprime statunitensi di dieci anni fa. La situazione italiana ha dunque il potenziale distruttivo e di contagio di una Lehman Brother, ma al cubo. Infatti, come qualche giorno fa ricordava Bloomberg, il debito pubblico italiano di 2,3 trilioni di euro minaccia di scatenare una reazione a catena che potrebbe coinvolgere Francia, Spagna e Germania, paesi le cui banche hanno in carico gran parte di questo debito e solo menzionarne la precarietà, scrive Bloomberg, fa venire i brividi agli operatori finanziari, specialmente dopo che l’economia italiana è scivolata ufficialmente in recessione. Le banche francesi hanno un’esposizione enorme sul debito italiano ma quelle inglesi sono esposte verso quelle francesi, quelle spagnole verso le inglesi e così via. È questa cascata a essere pericolosa...

Non facciamoci illusioni: con l’economia gialloverde l’Italia ha imboccato la strada del collasso definitivo se non imminente, inevitabile. Quando sarà sempre più evidente che l’enorme debito pubblico è l’impedimento strutturale alla crescita, il mercato richiederà per le obbligazioni italiane rendimenti elevatissimi. L’insolvenza di un governo si manifesta non appena ha difficoltà a piazzare il proprio debito.

Attualmente il problema è che per continuare a operare senza massicci tagli al bilancio, l’Italia deve vendere 400 miliardi di euro di obbligazioni all’anno che rappresentano il consumo della pubblica amministrazione. Ora, sia detto di passaggio, questa cifra rappresenta la capacità di prestito del Fondo salva-Stati europeo (Esm) che è appunto 410 miliardi di euro, sovrabbondanti per salvare una Grecia ma un pannicello caldo per sventare un eventuale collasso italiano con ramificazioni nel mondo intero. Il Fondo verrebbe esaurito nel giro un anno e sarebbe come versare acqua in un secchio bucato.

Il secondo problema è che poiché è terminato il compito della Bce come acquirente di titoli di prima istanza, nuove emissioni di debito dovranno essere assorbite dalle banche italiane con il rischio che diminuzioni di prezzo compromettano bilanci e quotazioni azionarie costringendole a aumentare il capitale per ottenere prestiti dalla banca centrale. Ma chi sottoscrive aumenti di capitale in un clima del genere? È la circolarità infernale di cui abbiamo già scritto. Nell’eurozona, con governi sull’orlo della bancarotta, non può esistere un sistema bancario sano: In altre parole, una crisi di governo può far collassare il sistema bancario mentre una crisi bancaria può far collassare il governo.

Neppure l’export, che rappresenta il 30 per cento del Pil, è in grado di risollevare le sorti del paese in quanto è pessima anche la salute dell’economia mondiale e neppure c’è alcun miglioramento prospettico della competitività nei confronti dei partner dell’unione. Già, è proprio di questo che si dovrebbe parlare, di produttività e di competitività invece che di sussidi e spesa pubblica. La diagnosi, purtroppo è semplicemente questa: l’Italia è diventata tristemente non competitiva e questa è anche la ragione per cui non è solvibile. Ciò che è riflesso, nei bilanci delle banche, dai crediti contenziosi verso aziende la cui competitività è stata compromessa dal carico fiscale imposto da un debito pubblico non più sostenibile.

L’unica ragione per cui il debito italiano non è stato classificato come spazzatura dalle agenzie di rating è perché la banca centrale europea è sempre intervenuta per evitare un default. Con la copertura della Bce, le obbligazioni italiane erano come obbligazioni tedesche senza averne i fondamentali. Ma se la Bce abbandonasse l’Italia alle forze del mercato, il rating dei bond italiani troverebbe in brevissimo tempo il suo “livello naturale”, costringendo l’Italia a ridimensionare il suo il debito. Ovviamente la Bce non può abbandonare l’Italia, perché sa che il default del nostro paese farebbe saltare l’eurozona intera con ripercussioni indicibili. Ma non può neppure salvarla continuando ad avallare i suoi deficit perché gli altri paesi della periferia europea reclamerebbero il diritto alle stesse politiche lassiste facendo evaporare la facciata di disciplina monetaria che metterebbe a nudo l’eurozona.

E allora come andrà a finire? Quale altro espediente si troverà per evitare il collasso e tirare a campare? Si riuscirà ad arrivare alle elezioni europee senza traumi? Non lo sappiamo ma sappiamo che le cose si stanno scaldando e la crisi italiana combinata con l’ondata crescente dei movimenti populisti nel continente potrebbe affossare sia l’unione monetaria che quella europea.

Aggiornato il 08 febbraio 2019 alle ore 16:37