La Fao e la richiesta di una pesca sostenibile

La Fao, l’organizzazione internazionale dedicata al cibo e all’agricoltura delle Nazioni Unite, dal 18 al 21 novembre è riunita per porre l’attenzione internazionale sulle tematiche della pesca, dell’acquacoltura e della valorizzazione della blue-economy.

L’obiettivo dei lavori è riuscire ad identificare percorsi sostenibili per rafforzare l’interazione scientifica e politica nella produzione, gestione e nel commercio intorno al mondo della pesca, sulla base di solidi principi di sviluppo sostenibile e migliorare i risultati a livello globale. I dibattiti e le conclusioni, in corso presso i lavori della sede di Roma, serviranno ad identificare nuovi approcci nella percezione della pesca da parte delle comunità, sostenendo la pianificazione del nuovo decennio dell’Onu per quanto riguarda la ricerca sugli oceani e lo sviluppo sostenibile. Nel corso del 2017, la pesca ha fornito 173 milioni di tonnellate di prodotti ittici, dei quali 153 milioni per il consumo umano diretto. Statistiche che vedono un aumento di ben sette volte rispetto ai dati del 1950. I numeri sono stati presentati dal direttore della Divisione Pesca e Acquacoltura della Fao, Manuel Barange. Secondo il direttore del Dipartimento della Fao, “la pesca rappresenta l’alimento più commercializzato e supera il commercio di altri alimenti derivati da tutti gli animali terrestri messi insieme. Nel 2017, le esportazioni di prodotti ittici hanno raggiunto la cifra record di 156 miliardi di dollari”. Barange ha ricordato che dal 1960 la popolazione umana cresce dell’1,5% all’anno e ciò ha generato l’aumento del consumo di proteine animali del 2,5% e del consumo del pesce del 3 per cento. Attualmente, la pesca rappresenta un importante crocevia e il mondo necessita di una nuova visione per il settore nel XXI secolo.

Questo è il messaggio lanciato dal direttore generale della Fao, Qu Dongyu, durante i lavori dedicati alla Sostenibilità della Pesca. L’alimentazione e i mezzi di sussistenza di milioni di persone in tutto il mondo dipendono dalla pesca.

Lo stato dei mari è però fonte di grave preoccupazione a causa dell’inquinamento da plastica, dagli effetti del cambiamento climatico, del degrado degli habitat e della pesca eccessiva. Uno stock ittico marino su tre è sovra-sfruttato, rispetto a soli uno su dieci di circa 40 anni fa, mentre la crescita della domanda di pesce d’acqua dolce sta colpendo duramente la sostenibilità della pesca nelle acque interne. La Fao ha notato una tendenza pericolosa: la pesca nelle regioni sviluppate è sempre più sostenibile, ricostruendo gli stock e migliorando le condizioni di coloro che lavorano nel settore, ma la pesca nelle regioni in via di sviluppo non sta migliorando altrettanto rapidamente. “Questo sta creando un pericoloso divario di sostenibilità. Dobbiamo invertire la tendenza se vogliamo raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile”, ha detto Qu Dongyu.”Abbiamo bisogno di maggiore volontà politica e di maggiori risorse per far sì che ciò avvenga. Dobbiamo impegnarci per non lasciare indietro nessuna regione dell’oceano, nel nostro impegno per la sostenibilità. Se concentriamo la scienza, il nostro spirito innovativo, le nostre tecnologie, garantiremo e tuteleremo uno dei settori alimentari più antichi e sottovalutati. Dobbiamo puntare in alto e agire in modo concreto”, ha concluso il direttore generale della Fao.

“Tratta l’oceano con il rispetto che merita, e lui perdonerà la nostra sconsideratezza, e si riempirà di nuovo e farà tutto quello che ha sempre fatto in passato, essere il grande donatore di vita del pianeta terra” ha ribadito Peter Thomson, inviato speciale dell’Onu per l’Oceano all’apertura del simposio.

Thompson ha sottolineato che quattro dei dieci obiettivi dell’Oss matureranno nel 2020, “e allora dobbiamo liberarci di tutto quello che impedisce la loro realizzazione”. Per porre sotto controllo la pesca illegale e assicurare che gli obiettivi siano raggiunti, Thomson ha lanciato un appello ai Paesi che ancora hanno fatto firmare l’Accordo sulle misure dello Stato di Approdo (Psma). Alcune proposte e iniziative sono già in fase di elaborazione. L’iniziativa Blue Growth della Fao si basa sull’equilibrio tra principi ecologici, sociali ed economici. Lo sviluppo di settori come l’acquacoltura è una doppia vittoria per il nostro pianeta che non incide sui bacini dei mari del nostro globo. Tra i primi 30 Paesi consumatori di pesce, troviamo 17 Paesi a basso reddito con deficit alimentare, soprattutto in Africa, Asia e Oceania. Circa il 95 per cento delle persone che dipendono dalla pesca come mezzo di sussistenza vive in Africa e in Asia. La grande maggioranza di loro sono piccoli operatori, che a fatica si guadagnano da vivere con una delle professioni più dure e pericolose. Nel 2019 la pesca commerciale è stata classificata come la seconda professione con il più alto tasso di incidenti e mortalità sul lavoro del mondo. Gli esperti della Fao sono chiari nel sostenere che le nuove frontiere del settore devono affrontare la dimensione sociale e il valore della pesca.

Le condizioni dei lavoratori, il rispetto dei diritti fondamentali e l’importanza della “tracciabilità” del prodotto. Il direttore generale della Fao ha espressamente fatto appello ai consumatori e ai ristoratori a pretendere la tracciabilità del pescato con garanzie di sostenibilità ambientale. L’ottimizzazione del contributo della pesca e il raggiungimento di benefici in termini di cibo, occupazione, attività ricreative e commercio, nonché dell’ecosistema e del benessere socioeconomico andranno a beneficio delle popolazioni di tutto il mondo, valorizzando le potenzialità della blue economy e rispettando la vita dei nostri mari e il futuro degli animali che lo popolano.

Aggiornato il 20 novembre 2019 alle ore 11:57