Popolare di Bari, chi tace verrà rimborsato

La vicenda della Popolare di Bari esemplifica più vicende e comportamenti, fino alla storia del declino dell’impresa in quell’areale adriatico che va dal centro-sud al centro Italia, con connessioni nelle vicine Basilicata e nord Calabria. Un tela di rapporti personali ed aziendali intessuta in più di mezzo secolo da Marco Jacobini (73 anni), presidente del consiglio d’amministrazione della banca e vero amministratore di ogni aspetto del credito. Che i tempi stessero mutando forse Jacobini lo aveva intuito nei primi anni Novanta, ma la banca continuava incurante nella politica creditizia che aveva connotato l’era pre Euro e, soprattutto, nei rapporti interpersonali stile Prima Repubblica. Eppure il campanellino della stretta creditizia, di quella morsa di Ue-Bce, suonava da anni e sempre più insistentemente. I sistemi finanziari europei monitoravano da più d’un decennio le linee di credito, e tramite BankItalia spingevano le procure a “moralizzare” il settore del credito.

Ecco che a Bari, il procuratore aggiunto Roberto Rossi ed il sostituto Lanfranco Marazia indagavano sugli imprenditori che avrebbero ceduto alla Popolare di Bari le partecipazioni societarie di aziende ammesse al “piano di concordato” (ovvero in situazione fallimentare), ed anche di altre società (anche scatole cinesi) riconducibili agli stessi imprenditori e non interessate dalla procedura fallimentare. Un gioco delle tre carte e con varie scatole cinesi: l’ingegneria finanziarie di queste manovre veniva tutta progettata ai piani alti della Popolare di Bari. Una distrazione di beni per milioni di euro (miliardi se si va indietro nel tempo).

Il fenomeno emergeva perché Bankitalia aveva notato procedure poco consone con le nuove norme bancarie, quindi delegava la Guardia di Finanza d’effettuare indagini. Da Bari partiva il blitz in due aziende del gruppo Fusillo (principale impresa accusata del giochetti) e le perquisizioni nella Popolare di Bari. Emergeva che la banca aveva favorito la cessione di beni sotto fallimento, cooperando con gli imprenditori alle bancarotte fraudolente, forse reputando le cose si potessero sistemare come s’usava negli anni Sessanta e Settanta, con amici compiacenti tra procure e palazzi. Ma i tempi sono cambiati e Roberto Rossi e Lanfranco Marazia sono inflessibili ed inavvicinabili. Così le Fiamme Gialle fanno emergere il giochetto dopo la perquisizione negli uffici della Fimco e della Maiora group (entrambe aziende della famiglia Fusillo di Noci): nella sede della direzione generale della Banca Popolare di Bari trovavano tutti i collegamenti. La banca, nonostante le aziende fossero da anni in fallimento, aveva comunque concesso prestiti ai Fusillo per oltre 140 milioni di euro. Dei soldi non c’è più traccia, o meglio i Fusillo li hanno investiti (dissipati) nel biennio 2016-2018 nei complessi aziendali del divertimento: lo stabilimento balneare in località Losciale a Monopoli e l’Hotel Cala Ponte di Polignano, e poi in favore d’un società correlata (Soiget Srl). La Finanza ha persino intercettato abbronzatissimi dirigenti di banca che se la spassavano nei complessi alberghieri e rivieraschi dei Fusillo, sotto gli ombrelloni con champagne, frutti di mare e ragazze.

 

Oltre l’apparenza del divertimento

 

La Finanza si chiedeva se i soldi fossero stati frullati nell’impresa del divertimento o ci fosse dell’altro. Le indagini appuravano che l’intero capitale della Soiget sarebbe stato fatto confluire verso Giacomo Fusillo, mentre il capitale della Logistica Sud srl sarebbe stato ceduto in favore del fondo “Kant Capital Fund strategic Business Unit Pcc Limited” con sede a Gibilterra: quindi i Fusillo avevano ottenuto una linea preferenziale per far fuggire all’estero i soldi bruciati alla banca. Ecco che ai componenti della famiglia Fusillo viene contestato il reato di bancarotta fraudolenta. Giacomo Fusillo risponde anche di autoriciclaggio, accusato di aver trasferito tutta la liquidità di Soiget srl (soldi avuti dalla Popolare di Bariche a cui s’aggiungono le distrazioni di beni dalla Fimco spa) “nella società unipersonale Sesto Elemento srl in modo da ostacolare - recitano le carte dell’imputazione - l’identificazione della provenienza delittuosa”. Giacomo Fusillo è di fatto il proprietario di Sesto Elemento srl.

Ma tra le operazioni che hanno portato in dissesto la Popolare di Bari figurano i complessi turistico alberghieri extralusso “La Peschiera”, “Il Melograno” di Monopoli e l’ex hotel Ambasciatori di Bari: operazioni sospette che la Guardia di Finanza di Bari ha dimostrato essere state tutte ordite dal gruppo Fusillo di Noci.

Ora ci si domanda, come mai il consiglio dei ministri venga convocato d’urgenza per stanziare più d’un miliardo di euro utili al salvataggio della Banca Popolare di Bari? E come abbia fatto il duo Marco Jacobini e Vincenzo De Bustis così velocemente ad attingere al salvataggio pubblico? Perché De Bustis ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera denunciando lui stesso prestiti irregolari che avrebbero provocato perdite per oltre 800 milioni di euro? È stata avviata un’azione di responsabilità contro l’ex direttore generale Luca Jacobini (figlio di Marco) presidente dell’istituto dal 1989 al 2019: ma i soggetti sono tranquilli, sicuri che le cose andranno a posto.

È evidente che certi poteri difendano i vertici passati e presenti della banca. Gli stessi poteri che hanno consigliato (non certo imposto) l’acquisizione di Banca Tercas nel 2013-2014: Banca di Teramo acquisita su impulso della stessa Banca d’Italia. Ma anche questo ha una logica, nella spartizione territoriale la Popolare di Bari era egemone lungo l’Adriatico dal nord di Bari (la Puglia è lunga 600 km dal Gargano a Lecce) sino al confine dell’Abruzzo: in pratica la Popolare di Bari non invadeva il territorio delle banche salentine.

 

L’obbligo d’acquisire banche

 

La Banca Tercas veniva capitalizzata con 300 milioni dal Fondo interbancario prima di passare alla Popolare di Bari: però la Commissione Ue nel 2015 lo considerava aiuto di Stato. Quella decisione impedirà poi al Fondo di intervenire sulle successive crisi bancarie italiane. Ne nasceva una disputa legale a tre, tra Italia, Ue e Bce. Lo scorso aprile 2019 la corte Ue ha dato torto all’Italia. E poi i soldi del Fondo interbancario si sono rivelati insufficienti a coprire il buco di Tercas. Qui nasce il problema, perché la Popolare di Bari s’è considerata frodata nell’acquisizione e dalla stessa Ue: quindi ha chiesto ai soci oltre mezzo miliardo di euro d’aumento di capitale, emettendo anche bond subordinati. Vincenzo De Bustis Figarola (69 anni, già direttore generale ed amministratore delegato di Popolare di Bari) è un banchiere di fama internazionale: è stato in Banca 121, Mps e Deutsche Bank. E lui potrebbe spiegare tante cose sulla Popolare di Bari, soprattutto le acquisizioni e fusioni con la Nuova banca Mediterranea, la Popolare di Calabria e, non ultima, la Tercas. Chi ha ordinato alla Popolare di Bari le varie operazioni per occultare perdite per oltre 270 milioni? Dietro il dissesto della banca non ci sono solo i Fusillo, ma anche Gianluigi Torzi (finanziere coinvolto in tante inchieste giudiziarie del genere) che ha impegnato la banca in una operazione da 30 milioni di euro su Malta (dentro vi stanno soggetti internazionali che sarebbe meglio non nominare): e per questa operazione firmata Torzi, ora il Lussemburgo ha presentato un conto di 51 milioni di euro alla Popolare di Bari (somma che la banca e l’Italia pagheranno, pena finire condannati da una corte Ue). Ingenuità o furbizia sopraffina?

I De Bartolomeo solo l’altra famiglia d’imprenditori coinvolti nel tonfo della Popolare di Bari: sono specializzati nell’edilizia, e coinvolti in un’inchiesta della magistratura barese che ipotizza “la scalata non consentita della graduatoria per la vendita delle azioni della Banca Popolare di Bari”. L’inchiesta (coordinata dai pubblici ministeri Lidia Giorgio e Federico Perrone Capano) ha tentato d’accertare i contorni dell’operazione De Bartolomeo: dalle carte dei costruttori emerge che avrebbero solo ricavato una perdita secca sull’acquisto delle azioni.

La stessa Popolare di Bari avrebbe attivato negli ultimi mesi operazioni di “cessione dei titoli non performanti” (chiamati Npl) per circa 500 milioni: hanno permesso alla banca di ricavare il 30 per cento del valore complessivo, con un risparmio di 70 milioni rispetto alle chiusure medie già realizzate sul mercato. È una banca che ha fatto 26 acquisizioni in 56 anni, e con un patrimonio di 1,3 miliardi e filiali in 13 regioni. L’ispezione di Bankitalia (effettuata tra luglio e ottobre del 2016) ha fatto emergere un ginepraio labirintico, e la vigilanza sembra si sia a dir poco smarrita. Oggi è difficile addossare la colpa su uno o pochi soggetti: perché la piramidalità e l’orizzontalità delle pressioni e delle clientele dimostra che la Popolare di Bari è una banca con le stesse caratteristiche di sistema del Monte dei Paschi. Ai poteri bancari italiani ed europei non conviene non salvare questo tipo d’istituti, poiché affondarli significherebbe uccidere il sistema istituzionale. Da qui l’obbligo del salvataggio, considerando che tra Popolare di Bari ed Ue c’è un contenzioso legale sul salvataggio della Tercas (si sono vicendevolmente denunciati). Con molta probabilità gli unici a finire sul banco degli imputati saranno i Fusillo insieme ad una manciata di medi imprenditori. Per i risparmiatori sarà previsto un risarcimento, a patto che non sollevino ulteriori polveroni.

Aggiornato il 20 dicembre 2019 alle ore 17:52