Mes-calito, le allucinazioni da deficit

Le allucinazioni? Sacre, quelle che offre il mescalito, o fungo peyote dei Maya, usato dai loro sacerdoti nei riti religiosi. Invece, il “Mes-calito” è del tutto artificiale, dà effetti allucinogeni ancora più accentuati e si fabbrica dalle parti di palazzo Chigi, sede del Governo italiano. Diciamola tutta: la sordina sul Mes è una foglia di “fico” del Partito Democratico e del M5S per far scivolare sotto il tappeto un bel po’ di polvere da sparo che se, incendiata dalle polemiche “Mes-sì-Mes-no”, farebbe volare in mille pezzi la loro attuale maggioranza. Eppure, si tratta di una questione palesemente di lana caprina. L’argomento è ben approfondito e definitivamente chiarito dal professor Govanni Tria, in un suo drammatico e divertente intervento colto (che il bravo Maurizio Crozza farebbe bene a rileggersi) sul “Sole 24 Ore” del 24 ottobre. Tria si aggiunge alle mille voci (compreso questo giornale) che asseriscono con garbo ed educazione: “Il re (l’Italia tutta e noi con lei) è nudo”. E con la scusa del Covid, lo stiamo rivestendo di un ulteriore mostruoso debito pubblico, raccontando favole sulla munificenza europea del Recovery fund, o Next Generation Eu, che metterà (forse) a disposizione dell’Italia molte risorse fresche (da erogare nell’arco di più anni), di cui almeno il 70 per cento sarà di nuovo debito pubblico, seppur a tassi agevolati, e blindato da moltissime condizionalità sullo stato di avanzamento lavori delle riforme strutturali richieste da Bruxelles. Basti pensare che, in proposito, ben 27 comitati in seno alla Commissione veglieranno sull’utilizzo di quei fondi presi a prestito, così come accadrebbe per il Mes.

Indebitarci, per ora, ci costa relativamente molto poco, grazie sia alla copertura della Bce, che sta surrettiziamente favorendo con una politica di monetizzazione occulta il massivo indebitamento dei Paesi mediterranei del sud, più colpiti dalla pandemia, permettendo a questi ultimi di indebitarsi in via straordinaria sui mercati finanziari internazionali e autorizzando i loro governi a varare, seppur temporaneamente, aiuti di stato alle imprese nazionali; sia alla sospensione delle regole europee sul rigore di bilancio quali il fiscal compact, in particolare, e Maastricht. Ma noi dobbiamo decidere, con urgenza, che cosa fare; e se e perché rinunciare al trattamento di favore del prestito Mes che per noi vale 37 miliardi, e procurerebbe il vantaggio per le finanze pubbliche di un risparmio annuale di 300 milioni di euro in interessi. Ora, in merito, i sospetti di Tria sono particolarmente fondati. I responsabili politici del Governo italiano, che si credono molto furbi, puntano a un approccio al Next Generation Eu da “sportello bancario”. Il contrario di quanto servirebbe per il rilancio continentale della crescita economica in campo comunitario, che necessiterebbe di un massivo finanziamento di programmi europei coordinati, “aiutando a tal fine finanziariamente i Paesi più deboli a parteciparvi con investimenti nazionali”.

Comunque decideremo, deve essere chiaro fuori da ogni dubbio che faremo ulteriori centinaia di miliardi di euro in debito sovrano. Indovinate chi pagherà, per le prossime cinque generazioni? Il retropensiero dei furbi è chiaro: se ci indebitiamo con l’Europa, in caso di default sarà assai più facile vedersela con i creditori “sovrani”, piuttosto che avere alle calcagna quei cani rabbiosi degli investitori finanziari internazionali. E non è finita qui. Per palese responsabilità, a tutti i livelli dell’amministrazione del territorio, dal governo centrale ai nuovi e vecchi zar regionali, autoproclamatisi governatori sul modello statunitense, assimilando così la Regione al Land tedesco o allo Stato confederato Usa, la nazione italiana è arrivata del tutto impreparata all’ondata di piena della seconda gobba della pandemia da Covid-19. Sul piano del bilancio pubblico, questa colpevole disattenzione è destinata a provocare un contraccolpo forse mortale per la ripresa economica attesa nel 2021 che, con ogni probabilità, sarà quella che in linguaggio borsistico viene descritta come “il rimbalzo del gatto morto”. Poiché la bella trovata di starsene con le mani in mano per sei mesi (tre di lockdown e tre di riapertura, con vari giri di manovella alla giostra dei divertimenti e delle vacanze a tutti i costi, in modo da recuperare il più possibile il terreno perduto dal turismo di massa), ha fatto sì che dietro il muro di gomma delle chiacchiere inutili oggi risulti impossibile sia chiudere tutto di nuovo, sia lasciare le cose come stanno.

Accade quindi che i Dpcm appena nati siano già obsoleti e superati al momento della loro entrata in vigore, dato che il virus corre molto più veloce dei palliativi e delle buone intenzioni. Pertanto, si sceglie mettendo a caso il dito nell’occhio ora a questa, ora a quell’altra categoria, senza concerto alcuno, stando solo a sentire supponenti scienziati del Comitato tecnico scientifico, che lo abitano. Per costoro, infatti, nessuno ha chiesto alla Comunità scientifica internazionale un avvallo curriculare, né tantomeno ha avuto il buon gusto di coinvolgere quest’ultima nelle scelte e nei metodi di indagine, lasciando che una materia delicatissima come la strategia nazionale di contrasto alla pandemia divenisse territorio di scorribande e campo di battaglia mediatico, per lo scontro in diretta tv di starlette litigiose, illustri professori e scienziati, virologi, epidemiologi e clinici di fama mondiale.

Il tutto nella “belle indifference” freudiana degli isterici, mentre la pancia del Paese ribolle di rabbia e di protesta che, come al solito, il Governo giallorosso pensa di sedare con le mance facendo ancora più debito pubblico, anziché governare con polso e mano ferma per la ricostruzione effettiva di questo Paese, scegliendo una volta per tutte come investire le risorse del Recovery fund in tre/quattro grandi progetti infrastrutturali. Davvero costoro arriveranno al 2023? No: non può finire bene.

Aggiornato il 28 ottobre 2020 alle ore 09:53