Il danno all’economia causato dalla assenza di infrastrutture

sabato 5 dicembre 2020


La Confcommercio e la Conftrasporto hanno presentato pochi giorni fa lo studio di Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio, intitolato “L’Italia dei trasporti tra ritardi, storie di ordinaria burocrazia e grandi progetti” e in tale occasione il presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, ha precisato: “L’Italia avrebbe 90 miliardi di Pil in più all’anno con lo stesso livello di accessibilità della Germania; per le realtà italiane collegate con l’Alta velocità ferroviaria si è registrata una crescita del Pil di oltre 7 punti percentuali in 10 anni di operatività”. Non voglio polemizzare con il presidente Sangalli né con Mariano Bella per l’ottimo documento, non voglio assolutamente criticare la Confcommercio e la Conftrasporto perché li ritengo veri testimoni delle negatività della nostra offerta infrastrutturale e appassionati difensori di tutte quelle strategie, di tutte quelle azioni che in passato avevano cercato di affrontare e risolvere una simile grave emergenza. Voglio invece ricordare che nel 2001, cioè quasi venti anni fa, in occasione della disposizione delle motivazioni che portarono alla stesura del Programma delle infrastrutture strategiche di cui alla Legge obiettivo, ricorremmo proprio alla esigenza di abbattere questo assurdo dazio che il Paese annualmente pagava per l’assenza di una adeguata offerta infrastrutturale, per l’assenza di una corretta risposta alle esigenze della nuova logistica che incideva in modo determinante in tutti i processi di crescita. Il danno stimato all’epoca era di 60 miliardi di euro; voglio ricordare che nel 2001 questo dato fu condiviso da tutti gli operatori del mondo dell’autotrasporto, dall’intero mondo degli operatori della logistica, invece per oltre dieci anni fu ritenuto, in modo particolare da ciò che ironicamente definisco la intellighenzia economica del Paese, un dato non vero e, addirittura, amplificato per motivare il Programma delle infrastrutture strategiche. Solo in occasione della redazione delle Reti trans european network (Ten-T), sia nella prima approvazione del 2005 che nella seconda del 2013, quando questo dato fu confermato ed avallato da primari organismi di ricerca comunitari, allora tutti, dico tutti, capirono quanto il nostro Paese avesse bisogno di un impianto infrastrutturale adeguato alle esigenze di un teatro economico sempre più esigente e sempre più legato a logiche di scambio, a logiche di mercato in continua evoluzione. Pochi mesi fa, in occasione dell’assemblea della Confetra, il presidente Guido Nicolini ha affermato che il danno supera abbondantemente i 70 miliardi di euro, oggi, addirittura, come detto prima Sangalli denuncia un danno annuale di 90 miliardi di euro e simili dichiarazioni mi incoraggiano perché denunciano quanto meno che gli oltre 130 miliardi già spesi davvero (non annunciati, non raccontati come i 17 miliardi spesi in 14 mesi dall’attuale Governo o come i 130 miliardi disponibili del Piano Italia veloce pari a 200 miliardi di euro) dal 2002 al 2014 per infrastrutturare il Paese perseguivano una finalità corretta ed essenziale.

Questa mia presa d’atto e questa mia ampia soddisfazione sulle dichiarazioni sia di Nicolini che di Sangalli solleva un obbligato interrogativo: come mai un Governo che riceve conferme da più parti, da più soggetti, da più operatori della logistica, come mai un Governo che scopre e verifica che annualmente l’economia del Paese perde, ripeto perde, 90 miliardi di euro, dal primo gennaio del 2015 ad oggi non abbia praticamente portato avanti quel Programma delle infrastrutture strategiche, ma, ancora peggio, non abbia portato avanti nessuna politica, nessun programma alternativo a quello definito dalla Legge obiettivo. L’interrogativo è senza dubbio pesante e grave ma ancora più grave e pesante è la prima risposta che tutti possiamo leggere prendendo come riferimento le varie Leggi di stabilità, quella del 2015, quella del 2016, quella del 2017, quella del 2018, quella del 2019, quella del 2020 e dulcis in fundo quella del 2021. L’obiettivo, come ho ripetuto più volte, è stato ed è quello di governi in cerca di consenso, in cerca di voti e in cerca di apprezzamenti per aver attuato scelte clientelari, per aver garantito erogazioni in conto esercizio in grado di illudere i cittadini di essere meno poveri impoverendo contestualmente l’intero Paese. Una scelta davvero preoccupante di tre partiti in tre distinti momenti istituzionali: il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle, la Lega nei governi di Matteo Renzi-Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte I° e II°. Addirittura nell’ultimo disegno di Legge di stabilità pur di non intaccare il quadro di risorse destinate agli “80 euro di renziana memoria”, al “Reddito di cittadinanza di grillina memoria” e al “Quota 100 di salviniana memoria” si è fatto ricorso ad un espediente davvero ridicolo per uno strumento che viene definito “Legge di bilancio”, si è inventato un articolo, il 184, che come ho avuto modo già di riportare in un mio precedente blog, invoca la copertura di un fondo, quello relativo al “Recovery fund”, che allo stato non è ancora disponibile, che allo stato non esiste. Invece gli oltre 12 miliardi per garantire le tre folli decisioni prima richiamate rimangono fisse ed intoccabili.

Mentre questo dato relativo al danno per il Paese causato dall’assenza di infrastrutture continua a crescere ed ad impoverire il Paese, contestualmente assistiamo ad una delle commedie più assurde a cui speravamo non dover assistere mai: una rincorsa continua a definire un Recovery plan, una rincorsa spasmodica nella definizione dei coordinatori responsabili di tale programma, prima il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola, poi il ministro per lo Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, poi il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, poi il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano e per gli Affari regionali il ministro Francesco Boccia, poi il residente Conte che avoca tutto alla presidenza e cerca sei manager; intanto al ministero dell’Economia e delle Finanze c’è un gruppo di dieci alti funzionari che sta definendo il quadro delle possibili proposte, poi c’è un altro tavolo che sta affrontando il Programma comunitario (ex Fondo europeo sviluppo regionale) per gli anni 2021-2027, un Fondo che dovrebbe seguire il ministro Provenzano ma che allo stato vede tanti interlocutori come il ministero dello Sviluppo economico e il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, un Fondo che parte male perché come ho ricordato più volte per il periodo 2014-2020 siamo stati capaci di spendere appena 4-5 miliardi su 54 miliardi di euro disponibili. Ebbene in tutto questo folle caos, non certo di un Paese con una storia politica ed istituzionale consolidata come il nostro, si aggiunge l’ultimo atto davvero kafkiano, davvero incomprensibile: l’elenco dei 50 commissari per le grandi opere e ancora più grave la risposta giustissima della Ragioneria generale dello Stato ai dicasteri proponenti. Ho scritto di corsa tutta questa commedia, o meglio, questo dramma però voglio precisare che anche se ho riportato velocemente i vari passaggi, le varie sceneggiature confermo che, purtroppo, sono tutte vere e portano ad una sola conclusione: non meritavamo di essere governati in questo modo.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)