Il fallimento d’impresa privata: meditate sulla previsione di Draghi

sabato 19 dicembre 2020


Le parole di Mario Draghi al G30 meritano ben più dello spazio dedicato ad una notizia. Perché necessita che la classe dirigente di questa Italia rifletta sull’allarme lanciato da Draghi: “Imprese ad alto rischio, urgente agire…situazione peggiore di quel che sembra, specie per le Pmi”. Draghi è oggi co-presidente del gruppo di lavoro del G30 (ieri vertice della Banca centrale europea, notoriamente il massimo esperto di credito) dice che “le autorità devono agire urgentemente perché in molti settori e Paesi siamo sull’orlo del precipizio in termini di solvibilità, specialmente per le piccole e medie imprese, con i programmi di sostegno in scadenza e il patrimonio esistente che viene eroso dalle perdite”. Mario Draghi ha parlato da co-presidente del gruppo di lavoro del G30, ed in merito alle problematiche innestate dall’emergenza Covid. “Il problema è peggiore di quel che appare – dice Draghi (che è anche vertice del think tank su questioni di economia monetaria) – perché il massiccio aiuto in termini di liquidità, e la vera e propria confusione causata dalla natura senza precedenti di questa crisi, ne stanno mascherando le vere dimensioni”.

Le parole di Draghi hanno lo stesso peso omerico di quelle profferite da Cassandra. Perché l’astuto banchiere già prevede le mosse d’una Cina che saprà sfruttare la nuova bolla debitoria, generata dalle imprese appese alle misure anti-pandemia. Infatti, il mondo globalizzato ha per caratteristica che, un problema finanziario a Pechino possa fare danni anche in Usa ed Europa. Accade che le misure anti-pandemiche prese in Cina da Governo e Banca centrale (utili a riattivare il credito) sono state generate con la consapevolezza che avrebbero prodotto l’ondata di insolvenze. Quindi Pechino ha generato credito ben sapendo che i fruitori si sarebbero in gran parte dimostrati insolventi. La Cina ha abilmente fatto di questa pandemia un punto di forza della propria guerra di conquista economica del pianeta: convinta da principio (grazie all’analisi dei mercati) che il Coronavirus avrebbe creato una spaccatura tra l’effervescente Asia e le altre economie. Così la Cina oggi è più prepotente di prima, mentre l’Europa rischia di rimanere al palo per i prossimi vent’anni. Questo lo si deve anche alla profonda osmosi tra aziende cinesi e stato cinese: non manca mai in Cina l’aiuto statale alla botteguccia (la nostra Pmi) come alla grande azienda. Nel grande Paese asiatico il pericolo di default delle aziende (il nostro fallimento) è inesistente, perché tutte le strutture vengono sostenute dai finanziamenti statali, il cosiddetto “sistema cinese bancario ombra”: lo stesso sistema che, più di cinquant’anni fa, permise ai cinesi d’aprire ristoranti e market in tutto il pianeta. Infatti, i ristoranti cinesi venivano sospettati dalle intelligence di mezzo mondo d’essere cellule del controspionaggio cinese (lo scriveva a chiare lettere l’appena trapassato John le Carré, che di queste cose ne capiva).

Così, mentre i Governi europei guardavano a come chiudere negozi e botteghe, e mentre qualche politicastro pentastellato sentenziava “che le imprese devono rispettare gli iter burocratici”, di contro la Banca centrale popolare cinese irrorava yuan a pioggia per evitare insolvenze e fallimenti. Non è un caso che, nel primo trimestre 2020, la moria d’attività si sia ridotta in Cina del venti per cento rispetto al triennio precedente. Apriamo una parentesi: in Cina le attività non chiudono ma si riconvertono, invece nel 2020 la politica industriale cinese ha voluto dimostrare che la stragrande maggioranza delle aziende ha continuato a vivere, anzi ha aumentato il fatturato. Di fatto, la Cina ha usato l’esposizione debitoria, originata dalla grande crisi del 2008, per cavalcare la sua nuova crescita. Per supportare i progetti infrastrutturali ha fatto esplodere il debito delle imprese a più del 160 per cento del Pil dal 2010 al 2020 (nel 2008 era del 101 per cento). Enorme indebitamento per le imprese statali, ma il presidente Xi Jinping ha vietato si dichiarasse il default. Così il record delle insolvenze obbligazionarie in Cina rimane sempre interno al Paese (una sorta di polvere sotto il tappeto), ed oggi s’aggirerebbe intorno ai 150 miliardi di yuan. Intanto nei discorsi pubblici ed al partito, il presidente Xi Jinping promette sempre e comunque un giro di vite per spezzare la catena del credito facile, soprattutto frenare il “moral hazard” del sistema bancario.

La Banca centrale cinese sta agendo come quella giapponese dopo il recente disastro nucleare, sta stampando miliardi di yuan e le autorità di regolamentazione hanno velocemente approvato le “obbligazioni anti-epidemiche”: i tassi di interesse sono stati abbassati, e con loro i coefficienti di riserva obbligatoria. Tutte manovre per incoraggiare il credito. E non dimentichiamo che hanno in pancia provviste d’euro e dollari (tantissime banconote): tutte rimesse dalle imprese cinesi sparse nel pianeta. Con la scusa della pandemia, hanno inventato danaro anche per coprire i vecchi debiti delle aziende in difficoltà. Oggi la Cina guarda beffarda la cadente e sottocapitalizzata Europa, certa che l’insolvenza abbinata alla crisi finanziaria permetteranno ben presto le svendite immobiliari. In Italia, come in tutta l’Ue, le misure anti-Covid faranno saltare entro il secondo semestre 2021 le aziende di trasporto, del turismo e della vendita al dettaglio: questo l’allarme lanciato da Mario Draghi. Ma si stenta a credere che, un Governo bradipo ed acefalo, possa scongiurare il passaggio dei patrimoni italiani in altre mani.


di Ruggiero Capone