Ex-Ilva, ora risposte concrete

lunedì 21 dicembre 2020


Anche le tivù nazionali, come è accaduto ieri su La7, guardano con attenzione la vicenda ex-Ilva di Taranto, che chiude l’anno con una serie di interrogativi perché ancora cosa verrà non è chiaro.

Intanto emergono antiche dimenticanze in un ristagno da cui bisogna necessariamente uscirne. Questa fabbrica o bisogna chiuderla o farne una industria moderna, non ci sono altre alternative. Non si può rimanere ancora impantanati, anche perché la produzione dell’acciaio in tante parti del mondo o in nazioni europee avviene ormai con modelli industriali tecnologici e ambientali molto avanzati, molto competitivi. In questi ultimi anni si è tanto citato il modello austriaco, con acciaierie a bassissimo inquinamento con un impatto ecologico molto sostenibile già da tempo in uso. L’anno della pandemia ha messo in evidenza un impegno straordinario nella ricerca scientifica che ha portato a trovare più vaccini, quindi più potenziali soluzioni al problema Covid. Più case farmaceutiche e più laboratori scientifici hanno trovato dei vaccini che stanno via via per entrare in uso. Questo dimostra come sia stato possibile attraverso un notevole impegno scientifico trovare soluzioni ad un problema. Nel settore siderurgico la situazione appare paradossale, perché ci sono già delle tecnologie, delle ricerche, studi ed approfondimenti, soluzioni industriali che permettono di ridurre l’inquinamento ed è illogico non utilizzare tutto ciò. Se si vuole i risultati si raggiungono perché ci sono già modelli industriali molto avanzati che si possono prendere come riferimento; le tecnologie oggi consentono di produrre l’acciaio in modo migliore.

La questione quindi è quella di spendere e fare gli investimenti giusti, solo da qui può venirne fuori la svolta decisiva. La situazione si è talmente esasperata e deteriorata, perché sono trascorsi molti anni a vuoto, di prese in giro, senza che vi fossero segnali indicativi. Si capisce la rabbia, la delusione, la frustrazione della città. Ed è ovvio che oggi si guardi all’accordo che vede l’ingresso dello Stato con molti dubbi e perplessità. È vero, lo Stato dovrebbe costituire una garanzia, dal momento in cui ci mette la faccia e tanti soldi (attraverso Invitalia metterà 1 miliardo e 80 milioni nel capitale mentre ArcelorMittal solo 70 milioni). Ma si viene da anni di gestione commissariale che non ha fatto le cose che ci si attendeva.

Lo stato era lì per garantire il mantenimento dell’azienda, la pace sociale, la tenuta dell’occupazione e il pagamento degli stipendi ma gli investimenti necessari per la vera svolta verso la sostenibilità non sono arrivati o non in sufficiente misura. Per questo lo Stato non ha dato bella prova di sé, per non parlare di quando l’azienda era tutta pubblica, prima del ‘95. Non è che allora la produzione fosse sostenibile, pulita e rispettosa dell’ambiente. E ricordiamo che la fabbrica è attiva dagli anni Sessanta. Quindi l’accordo è stato fatto, ben venga l’ingresso dello Stato, ma tanti sono gli interrogativi e i dubbi, come si diceva prima.

Il 2021 dovrà essere un anno di risposte chiare e concrete, perché da questa situazione si deve necessariamente venirne fuori. C’è all’orizzonte un incontro domani che si annuncia con la partecipazione di quattro ministri e del ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che sino ad ora, volutamente o no, non si è visto presente nella trattativa, nel confronto con i sindacati e ritorna a cose fatte, a negoziato concluso. Né, che risulti, vi siano state osservazioni o indicazioni su come procedere avanzate dal Ministero dell’Ambiente. L’importante è che a cominciare dall’incontro di domani si faccia chiarezza e venga fuori un piano esaustivo di interventi da realizzare a partire da subito.


di Vito Piepoli