Effetto Covid sulle città: sparisce l’offerta turistica

“Tra il 2012 e il 2020 è proseguito il processo di desertificazione commerciale: dalle città italiane sono sparite, complessivamente, oltre 77mila attività di commercio al dettaglio (-14 per cento) e quasi 14mila imprese di commercio ambulante (-14,8 per cento); aumentano le imprese straniere e diminuiscono quelle a titolarità italiana; a livello territoriale, il Sud, rispetto al Centro-Nord, perde più ambulanti, ma registra una maggiore crescita per alberghi, bar e ristoranti”. Questo quanto emerso dall’analisi dell’ufficio studi Confcommercio.

La pandemia “ha acuito certe tendenze e ne ha modificate altre”. Ovvero nel 2021 “solo nei centri storici dei 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza, oltre ad un calo ancora maggiore per il commercio al dettaglio (-17,1 per cento), si registrerà per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9 per cento). Anche il commercio elettronico, che vale ormai più di 30 miliardi – è evidenziato nel report – registra cambiamenti a causa della pandemia: nel 2020 è in calo del 2,6 per cento rispetto al 2019 come risultato di un boom per i beni, anche alimentari, pari a +30,7 per cento e di un crollo dei servizi acquistati (-46,9 per cento). Quindi, città con meno negozi, meno attività ricettive e di ristorazione e solo farmacie e informatica e comunicazioni in controtendenza col segno più. Il rischio di non “riavere” i nostri centri storici come li abbiamo visti e vissuti prima della pandemia è, dunque, molto concreto e questo significa minore qualità della vita dei residenti e minore appeal turistico”.

Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha commentato: “Per fermare la desertificazione commerciale delle nostre città, bisogna agire su due fronti: da un lato, sostenere le imprese più colpite dai lockdown e introdurre finalmente una giusta web tax che risponda al principio stesso mercato, stesse regole. Dall’altro, mettere in campo un urgente piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese e rilanciare i valori identitari delle nostre città”.

Tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi – “si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tiene in una qualche misura la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6 per cento) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3 per cento); significativi sono invece i cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9 per cento) e farmacie (+19,7 per cento), queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali. Il resto dei settori merceologici è, invece, in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17 per cento per l’abbigliamento al 25,3 per cento per libri e giocattoli, dal 27,1 per cento per mobili e ferramenta fino al 33 per cento per le pompe di benzina”.

Infine, quanto “alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5 per cento), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9 per cento e +10 per cento, il futuro è molto incerto. Ma occorre reagire per dare una prospettiva diversa alle nostre città che rappresentano un patrimonio da preservare e valorizzare. Le direttrici sono tre: un progetto di rigenerazione urbana, l’innovazione delle piccole superfici di vendita e una giusta ed equa web tax per ripristinare parità di regole di mercato tra tutte le imprese”.

Aggiornato il 24 febbraio 2021 alle ore 12:09