L’export e i processi per l’internazionalizzazione

Fermare le delocalizzazioni, la corsa al ribasso e allo sfruttamento economico dei popoli che necessitano di far emergere l’economia nazionale è un’operazione di sostenibilità e crescita economica. Nel Paese è in corso un grande dibattito sull’essenzialità di monitorare e capire quali società applicano processi di delocalizzazione per impoverire l’Italia e sfruttare il lavoro di altre società, calpestando diritti, ambiente e dignità. Fare impresa è una missione sociale, un’affermazione di valori civici che non può essere analizzata solo dal punto di vista economico e dall’accrescimento della ricchezza da parte degli imprenditori. Le aziende creano valore nei territori in cui fanno impresa e quando cambiano strategie e modelli, legittimamente, hanno il dovere di studiare, capire e assimilare un percorso, dando la possibilità di mantenere viva l’attività produttiva se ci sono le condizioni, o quanto meno, comprendere l’importanza di salvare i posti di lavoro, senza difendere modelli insostenibili e regimi fiscali inaccettabili. Capire l’importanza dei mercati esteri scoprendo l’essenzialità dei processi di internazionalizzazione e non fermarsi alle semplici delocalizzazioni è un passo importante per la crescita della cultura manageriale della nostra Penisola.

L’emergenza sanitaria ha mutato gli scenari economici e l’idea di una società che rispetti diritti, dignità e ambiente è divenuta una priorità. Bisogna utilizzare l’ondata di finanziamenti che avremo col Recovery plan per responsabilizzare e formare di più le imprese, gli imprenditori e gli innovatori e legarle con più forza al paese nel quale operano e dal quale ricevono sussidi, e tutti gli strumenti che vanno in questa direzione possono essere utilizzati aiutando a comprendere le nuove dinamiche dell’export e dell’internazionalizzazione. Tali processi necessitano di un continuo confronto con le Pmi, il vero tessuto economico della nostra Penisola, facendo attenzione a non dialogare solo che le grandi multinazionali che non comprendono e non conoscono la realtà economica delle imprese italiane.

Negli ultimi anni sono stati spesi dieci volte di più i fondi degli anni scorsi per incentivare la crescita dell’export ma la divaricazione a danno delle piccole imprese è cresciuta. Prosperano banche, istituti finanziari e colossi multinazionali che già conoscono bene i processi di internazionalizzazione, mentre il numero di aziende esportatrici, le radici della nostra economia, diminuisce di ventimila unità. Un risultato poco efficace delle misure attuate finora. L’idea di lanciare un Piano o Patto per l’Export e far capire l’importanza dell’internazionalizzazione per le imprese è geniale e va salutata positivamente, ma tale sforzo va fatto comprendere alle Piccole e medie imprese non ai colossi industriali. Inoltre, estremamente preoccupante appare il nostro sistema pubblico che fa propaganda invece di intraprendere azioni chiare con obiettivi concreti e misurabili. Senza monitorare i risultati, senza realizzare correzioni quando i risultati palesemente non arrivano, appare unicamente un gioco politico, ulteriore propaganda a danno di imprese e lavoratori.

Sostenere e capire l’importanza di chi intraprende dinamiche innovative per diffondere i modi migliori di sviluppare l’economia e creare lavoro nel nostro paese attraverso lo sviluppo dell’export e di network tra l’Italia e i mercati esteri è importante oltre che sostenibile. Necessitiamo di misurare i risultati raggiunti guardando alle Pmi e alla crescita sui mercati esteri, proponendo una visione globale dell’economia con un ruolo fondamentale per l’export e per la crescita del Paese e del Sistema Mediterraneo. I processi di internazionalizzazione e di conoscenza dei mercati esteri sono essenziali per la crescita comune e sostenibile delle nostre economie. Gli imprenditori sono sempre alla ricerca di aree in cui il costo del lavoro è più basso e il problema non è certo nuovo. Tuttavia, l’imprenditore può divenire energia per uno tessuto sociale e un sistema che attraverso la vera innovazione e le nuove dinamiche tecnologiche, digitali e occupazionali, accompagnate da un regime fiscale non criminale, può innescare curiosità, crescita economica e nuove possibilità per i giovani nei territori di appartenenza.

Aggiornato il 30 agosto 2021 alle ore 11:23