Il Pil e il comparto delle costruzioni

venerdì 3 dicembre 2021


Il Cresme, come ogni anno, ci racconta le previsioni congiunturali del settore delle costruzioni. In particolare, gli investimenti in tale comparto cresceranno del 17,6 per cento nel 2021 e del 6,6 per cento nel 2022. La spinta principale arriva quest’anno dai lavori di rinnovo nel comparto residenziale (+ 25,2 per cento) e dalle nuove opere pubbliche (+15,4 per cento). Sono dati già apparsi in anticipo sul Sole 24 Ore.

Quanto pesa l’edilizia nei dati che già oggi fissano al 6,1 per cento la crescita acquisita per il 2021? Anzitutto il Cresme prevede una crescita del Pil per questo anno pari al 6,7 per cento; interessante è la stima che fa il Cresme delle componenti del Pil. L’edilizia partecipa a questi 6,7 punti con 1,6 punti, esattamente come gli investimenti privati in macchinari e mezzi di trasporto. Senza la componente degli investimenti in tale comparto, quindi, la crescita italiana sarebbe quasi dimezzata al 3,5 per cento.

Tutti indicatori positivi che però diventano critici quando il Cresme si chiede cosa succederà dopo il 2023; il Cresme si chiede se il settore sarà in grado di sostenere questa domanda, con un fattore manodopera già critico e se saprà avvantaggiarsi di una spinta tanto forte. Non poche le criticità da affrontare, a partire dalla capacità di produzione in termini quantitativi e qualitativi, dalla capacità progettuale, dalla capacità di innovazione e digitalizzazione senza cui lo sviluppo non sarà, purtroppo, duraturo. Ma il Cresme teme ancora che la Legge di bilancio del 2023 possa essere restrittiva con una brusca frenata proprio in quei segmenti che oggi tirano a partire proprio dal rinnovo residenziale e, precisa sempre il Cresme, non basterebbe neanche la stagione espansiva delle opere pubbliche (stimata pari a + 9,9 per cento) per effetto del Pnrr a portare in crescita l’intero comparto.

Luci e ombre che giustamente è bene analizzare ed è bene misurare attentamente; però quello che penso sia utile ribadire è che questo motore è e sarà sempre il motore chiave di ogni ipotesi di crescita dell’intero assetto economico e questa constatazione aumenta le responsabilità di chi in passato, in particolare negli ultimi sei anni, ha preferito bloccare del tutto i trasferimenti in conto capitale annullando, in tal modo, ogni possibile attività imprenditoriale di un settore che, invece, come più volte ribadito in diverse mie esternazioni, era e rimane il riferimento chiave per la crescita.

In realtà, l’equazione è banale: se in 14 miliardi l’anno, dati agli 80 euro di renziana memoria, al reddito di cittadinanza e al quota cento, fossero stati dati, tra l’altro, come previsto dalla Legge 443/2001 (Legge Obiettivo), per realizzare infrastrutture non avremmo avuto un Prodotto interno lordo per gli anni 2015, 2016, 2017, 2018, 2019 e 2020 (prima della esplosione del Covid) a livelli di grave stagnazione (contemporaneamente gli altri Paesi della Unione europea si attestavano su soglie superiore al 3-4 per cento mentre l’Italia non superava lo 0,6- 0,8 per cento).

E allora se il Cresme oggi, se la Banca d’Italia e altri organismi come lo stesso Istat negli ultimi anni hanno ribadito questo ruolo chiave dell’intero comparto delle costruzioni dobbiamo, necessariamente, rivedere integralmente l’approccio seguito non solo in questi discutibili sei anni trascorsi (sei anni caratterizzati essenzialmente da una cattiva gestione strategica e non dalla epidemia) ma anche negli anni precedenti. L’errore, commesso da sempre proprio da parte di chi ha gestito la cosa pubblica, è stato quello di non coinvolgere direttamente i privati, di non dare vita a vere e misurabili forme di Partenariato pubblico-privato.

Forse fino a ieri lo Stato, la componente pubblica, disponeva solo di una certezza ed era la chiara elencazione delle opere strategiche da realizzare; un elenco approvato con un apposito strumento legislativo, mi riferisco al Programma delle infrastrutture strategiche (Pis) approvato con la Delibera Cipe 121 nel rispetto della Legge 443/2001, una elencazione che non ha trovato dal 2015 un supporto finanziario adeguato (anzi va detto non ha trovato risorse ma solo Contratti di Programma di Anas e di Rfi bloccati volutamente nelle Commissioni parlamentari competenti proprio per giustificare un blocco nell’assegnazione delle coperture).

Oggi al quadro delle opere si è aggiunta anche la copertura adeguata e cadenzata non in un arco temporale indefinito ma entro e non oltre il 31 dicembre del 2026. La certezza programmatica (una certezza che, ripeto, è rimasta invariata dal 2001 ad oggi) e la certezza delle risorse validata addirittura a livello comunitario consentono, finalmente, due interessanti itinerari che a mio avviso si configurano, a tutti gli effetti, come una occasione davvero innovativa, una occasione che può dare vita a:

– iniziative propositive formulate da “promotori” e caratterizzati da project financing e relativi ad interventi greenfield e brownfield (cioè ad operazioni da avviare integralmente o già esistenti e solo da reinventare e rendere funzionali);

– forme di Partenariato pubblico-privato che, oltre a garantire una leggibile e oggettiva corresponsabilizzazione nella realizzazione delle opere, consente anche, attraverso il ricorso al “canone di disponibilità” la possibilità di realizzare determinati investimenti con il ricorso alla copertura finanziaria adeguatamente rivisitata a vantaggio della componente pubblica.

Sto forse diventando noioso nel proporre e nell’indicare tali possibili itinerari innovativi, nel denunciare, quasi in modo sistematico, un immediato coinvolgimento dei “privati”; sono convinto, e con me sono convinti tutti coloro che leggono attentamente quale sia oggi il livello organizzativo delle varie stazioni appaltanti, che l’attuazione organica dell’intero pacchetto di atti programmatici, presente sia nel Pnrr che nel Fondo sviluppo e coesione, può essere possibile solo se i privati vengono coinvolti direttamente.

Voglio anche precisare che questo coinvolgimento non viene invocato perché si ritiene carente, allo stato, la qualità di chi è preposto alla gestione della cosa pubblica ma solo perché con l’ingresso dei privati, oltre a disporre dei vantaggi accennati prima, si consente un vero cambiamento comportamentale nel modo con cui si affronta la infrastrutturazione organica del Paese.

Questi consigli forse non saranno apprezzati e condivisi subito ma:

– quando all’inizio del prossimo anno il nostro presidente Mario Draghi (in particolare nel mese di gennaio 2022) chiederà una seconda tranche delle risorse del Recovery Fund e purtroppo riceverà una disponibilità limitata in quanto non è partito ancora l’intero impianto programmatico e quindi non ci sono ancora Stati di Avanzamento Lavori;

– quando ci accorgeremo, sempre agli inizi del prossimo anno, del mancato avvio delle opere supportate dal Fondo di Sviluppo e Coesione nel Mezzogiorno del Paese;

– quando ci renderemo conto di avere solo disponibilità finanziarie provenienti da Fondi comunitari e non da investimenti in conto capitale presenti in Leggi pluriennali di spesa del bilancio dello Stato, allora diventerà obbligato invocare i privati, coinvolgere capitali privati perché altrimenti agli inizi del 2023, quando si effettuerà la verifica sull’avanzamento dell’intero Pnrr, saremo costretti – come già previsto nel Contratto di Programma di Rete Ferroviaria Italiana – a trasferire le risorse disponibili in un nuovo Piano B; un Piano B in cui difficilmente compariranno opere infrastrutturali ubicate nel Mezzogiorno del Paese.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)