Terre rare e materie prime critiche: il petrolio del futuro

L’Italia – a volte – si è desta, ma l’Europa è ancora come Orfeo alla ricerca di Euridice. Il continente resta legato all’errata alternativa tra la volontà di potenza dei secoli passati e una rassegnata impotenza. A sentire i rotocalchi web gli europei, più che a pensare a nuove startup, si perdono a laicare o litigare sui social (quasi tutta la comunicazione oggi è un “rotocalco web”, ovvero è gossip e fashion, lo dico per gli under cinquantenni che non hanno letto Intimità, Confidenze, Gente e altri settimanali affini). La politica vede ovunque nascere dei Beppe Grillo, arrivati forse dalla Fascia di Orione ma comunque molto presenti e televisivi. I tg ci stordiscono col terrore covidista e la gloria dei Måneskin. Intanto, scivoliamo nelle braccia delle altre potenze geopolitiche: l’alleanza anglosassone allargata a Giappone e Sud Corea; la Russia e gli Stati a lei vicini; la Cina e la sua Shanghai Cooperation Organization.

Il Covid ha messo in evidenza la realtà di una guerra economica molto più calda della Guerra Fredda. Non sono balle: in queste settimane le nostre industrie pagano l’energia oltre al 100 per cento in più rispetto a un anno fa. Di più: l’aumento dei costi di trasporto ostacola seriamente il nostro import ed export. In Italia, attualmente, abbiamo carenza di materie prime per la manifattura: soffrono vetrerie, il settore del cartone, le falegnamerie che producono mobili, l’import di frutta da Oltreoceano (non più conveniente), persino il cibo per animali. Un industriale dell’acqua minerale, che ha riaperto un impianto dismesso da anni, non riesce a trovare bottiglie di vetro per la sua linea di produzione ecologica.

Poi c’è il problema delle materie prime “strategiche” (Crm), un tema su cui siamo in ritardo spaventoso da decenni. Abbiamo dimenticato che quindici anni fa, quando Canada e Usa cominciavano a estrarre idrocarburi dalla roccia di scisto bituminoso, in Europa e Italia sia politici che media deridevano e irridevano i “capitalisti-giudeo-anglosassoni”, perché l’estrazione di petrolio da scisto avrebbe “causato terremoti” e danni incalcolabili all’ambiente.  Il petrolio inquina, però Los Angeles oggi ha, tra una villa e una casa del suo territorio, circa 50 pozzi di estrazione petrolifera.

Intanto, con la mossa dello scisto l’America si rendeva indipendente dal Medio Oriente e da Vladimir Putin, mentre i tedeschi massacravano la Polonia pur di flirtare con la Russia, padrona del Nord Stream. La Russia – dobbiamo notare – per i media ambientalisti disneyani, non merita esecrazione. Forse perché i suoi idrocarburi non inquinano e la Gazprom e Rosneft estraggono gas e petrolio per infusione dalle margherite siberiane? Oggi paghiamo spaventosi rincari sugli idrocarburi e – paradossalmente e comicamente – mentre ci diciamo adepti del solare e delle energie alternative non abbiamo fatto nulla per renderci indipendenti sulle materie prime, che servono per realizzare un sistema di produzione eco-compatibile. Importiamo quasi tutto: ciò è grave per i costi, ma lo è di più per il rischio di asservimento politico.

Proviamo a sintetizzare un argomento che è epocale. La transizione ecologica aumenterà la domanda di materie prime critiche (Crm) utilizzate ovunque: per le batterie delle auto elettriche, i materiali per le energie rinnovabili, le tecnologie digitali per gli elettrodomestici, la difesa militare, i trasporti via navi, aerei e aerospazio (entro il 2050 potrebbe diventare una branca decisiva nel settore del trasporto pubblico). Secondo la Banca mondiale, la richiesta di minerali come grafite, litio e cobalto aumenterà del 500 per cento entro il 2050. Oggi nell’Unione europea l’80 per cento del litio è importato. Il Parlamento europeo propone di diversificare le forniture estere, aprire nuove miniere e migliorare il riutilizzo di vecchie batterie o computer.

Cosa sono le materie prime critiche

Le Crm, Critical raw material, oggi sono 30, ma se ne scoprono in continuazione altre. Attualmente la Cina fornisce il 98 per cento di terre rare (Rees) utilizzate dalla Ue e circa il 62 per cento delle materie prime critiche. Per l'indipendenza dell’Europa, come richiesto dal ministro Roberto Cingolani e da FederPetroli Italia, si dovrebbe valutare con urgenza la possibilità di utilizzare al meglio il nostro sottosuolo: nell’Adriatico, Croazia, Grecia e tutte le altre nazioni prelevano idrocarburi. I nostri pozzi, invece, sono stati tappati da decenni. Riaprirli non costa quasi niente e ci permetterebbe di non buttare alle ortiche la “ripresina” economica post Covid e darebbe a famiglie e imprese la possibilità di affrontare questi mesi senza ulteriori problemi finanziari. La richiesta di riaprire le miniere (in forma non eco-distruttiva) è ormai diffusa in tutta Europa. In Liguria, dove potrebbero esserci forti riserve di titanio, manganese, rame e altri minerali pregiati, la semplice richiesta di perlustrazioni di alcune montagne di una compagnia mineraria australiana è stata accolta da un ricorso di Legambiente.

In Norvegia, una nazione che sfrutta il petrolio offshore e intanto ha una poderosa espansione dell’eolico, così da potersi permettere di passare gratuitamente, invece che indebitando le famiglie, si procede col “Bjerkreim Exploration Project” che riguarda un’area che contiene almeno 70 miliardi di tonnellate di roccia minerale con forte presenza di vanadio, titanio, fosfati e altri Crm. Anche se alcune Ong e i Verdi si oppongono a ogni forma di scavo minerario, la Ue sta pensando che se le materie prime critiche Cmr sono il nuovo petrolio, allora l’Europa dev’essere pronta per questo (come riferisce EnergyPost.eu).

I tg nostralini illustrano a piene mani le proteste in Serbia contro la Rio Tinto australiana (e l’Australia è un esportatore di terre rare e Crm) mentre la company cerca litio. Proteste legittime ma insensate, se poi ti tocca comprare dalla Cina o dall’Australia il litio per i tuoi cellulari, auto, tablet. Dal 2021 (ecco degli echi di guerra economica) ha valorizzato l’export di Ree e di prodotti semifiniti come i magneti. La crescita dell’export di Ree cinesi salirà dal 2030 al 2050 da 167.000 tonnellate a 280.000.

Posta di fronte a sanzioni economiche da parte Usa da Donald Trump, la Cina ha minacciato restrizioni all’export dei minerali preziosi. Nel 2010 ha bloccato l’export di Ree in Giappone a causa della disputa sulle aree marine petrolifere nel Mare Cinese orientale. EnergyPost riferisce che la Cina ha alzato l’acquisizione di miniere in tutto il mondo. Dovremmo dire ai serbi e ai liguri di pregare che non finiscano in miniera a lavorare per una compagnia cinese. Si pensi all’Afganistan.

Afghanistan: acme della stupidità politico-economica

La ritirata da Kabul è stata grave, perché precipitosa e vile nei confronti degli afghani contrari all’integralismo taliban della tribù pashtun. Inoltre, ha lasciato campo libero alla Cina. L’Occidente ha dovuto giustamente bloccare i fondi afgani all’estero. Questo ha però consegnato alla Cina il ruolo di Paperone che assume in Africa: veni, vidi, vici. Meglio: ho visto, non ho combattuto, ho vinto dirà oggi Xi Jinping, reputandosi un novello Giulio Cesare. Perché? Perché la ricchezza delle Terre rare afgane consiste in 3 trilioni di dollari (un “trillion” Usa corrisponde a 10 seguito da 18 zeri, cioè a 1.000.000.000.000.000.000). L’Afghanistan è stato definito l’Arabia Saudita del litio e rischia, seriamente, di concedere le sue miniere alla Cina. Le sue riserve di litio sono pari a quelle della Bolivia: le più ricche del mondo. Il litio è la punta di diamante della carenza di materie prime nel mondo: mancherà quasi un milione di tonnellate di questo minerale nel 2030 rispetto alle necessità.

Deca-danza europea

Solo il 9 per cento delle materie prime critiche può essere ricavato dalle miniere locali della Ue a 27 nazioni, rileva EnergyPost, che aggiunge: “L’Europa rappresenta solo il 5 per cento delle miniere mondiali ed è l’unica parte del pianeta in cui l’industria mineraria è in declino”. Sembra un ricalco dell’Italia del gas e del petrolio di Supercortemaggiore. O un ricalco dell’Unione Sovietica, che nemmeno ricavava uno straccio di rubli dal suo sottosuolo. Suona quindi bello ma fantascientifico (“cosa dirà Beppe Grillo?” ci chiediamo noi) il progetto della Commissione europea di diventare autosufficienti all’80 per cento nelle Crm entro il 2025 e di avere miniere che ricavino terre rare entro il 2030. Soprattutto se pensiamo all’opinione pubblica europea, sempre aizzata da media che sembrano pilotati dall’estero nel proporre una cultura ambientale e sociale autolesionista, però alla Walt Disney e non alla Albert Einstein.

Aggiornato il 20 gennaio 2022 alle ore 11:40