L’Italia, le ristrutturazioni mancate e il Pnrr

venerdì 21 gennaio 2022


Da settimane, i notiziari parlano di rincaro delle bollette energetiche come fossero una calamità biblica. Nessuno ha evidenziato che oggi subiamo le conseguenze nefaste di un sistema economico nazionale che, tempo per tempo, ha perso tutte le occasioni per un aggiornamento tecnologico dei processi aziendali e della distribuzione nazionali. Una occasione mancata denunciata da eminenti storici, economisti (Caffè, Graziani fra i molti), sociologi (Gallino), dagli organi di vigilanza bancaria attraverso le Relazioni finali e finanziario (Borsa, Ivass), dai Garanti di varia natura. Gli studiosi hanno analizzato con chiarezza la crescente deindustrializzazione di un Paese che poteva crescere ma non al punto di creare problemi all’asse infernale anglo-franco-tedesco-statunitense. Tali studiosi sono stati regolarmente ignorati. Le riconversioni dei processi industriali, distributivi e/o finanziari avrebbero consentito un rapido incremento del tasso di produttività di ciascun lavoratore con un conseguimento di margini di profitto che, oggi, avrebbero assorbito il rialzo repentino (provocato artificiosamente) di buona parte dei costi energetici e senza procedere stupidamente e cinicamente all’espulsione di masse di lavoratori o alla ennesima compressione dei redditi da lavoro.

Le risposte gestionali dei vertici datoriali sono state prive di creatività colpendo – perché era più facile e di rapida esecuzione – i livelli stipendiali dei lavoratori con la conseguente diminuzione del loro potere di acquisto, con crollo delle vendite e crisi economica immediata! Dopo aver raschiato il fondo del barile con la generalizzata precarizzazione del lavoro, ad eccezione degli organi apicali di controllo, di apparati statali come magistratura, Corte Costituzionale, Corte di Cassazione, Procura generale, Prefetture, Consiglio di Stato, Corte di Conti, Avvocatura generale dello Stato, Banca d’Italia, Consob, Ivass, Senato, Camera dei deputati, l’intera costellazione del parastato, Regione, Province e Comuni, vertici delle tre armi della Guardia di Finanza, della Polizia, della Guardia forestale, dei Carabinieri, la risposta dei produttori adesso è quella del ricorso al Pnrr (Piano nazionale di ripresa e di resilienza), al Mes (Meccanismo europeo di stabilità), al Ttip (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) ed altre diavolerie simili senza aprire un serio dibattito nazionale sulle conseguenze della sottomissione a questi meccanismi di strangolamento dell’autonomia nazionale. Parliamo innanzitutto della accettazione del Pnrr che è sostanzialmente un debito che non potremo rimborsare e che è stato rilasciato dopo la sottoscrizione dei governi italiani di una ipoteca sui beni nazionali dati a garanzia ai finanziatori stranieri, un aspetto vessatorio abilmente nascosto dai notiziati pastorizzati dei media pagati dalla Presidenza del Consiglio.

Nel frattempo, il nostro antiquato sistema industriale, bancario e finanziario subisce ulteriori battute d’arresto con la scusa di una emergenza eterna di oltre ventiquattro mesi che costituisce la scusa per eliminare tutele costituzionali, lavorative, sociali, umanitarie. Quali sono le risposte strategiche dei vertici datoriali a tutto questo? La prima è la immediata ed ininterrotta espulsione di forza lavoro. La seconda è la crescente compressione dei salari imposta da un allargamento della precarizzazione. La terza è un ricorso massiccio al lavoro a domicilio che sta aprendo le basi per l’apertura di un selvaggio caporalato mondiale per il quale il lavoro parcellizzato dell’italiano a casa può essere spostato a Nuova Delhi, in Africa, in Oceania con paghe da duecento euro mensili! La odiata Direttiva dell’Unione europea 2006/123/CE, conosciuta come Direttiva Bolkestein, è uscita dalla porta e sta rientrando progressivamente e in altre forme dalla finestra. La quarta è il perpetuarsi di una immensa evasione fiscale che ha raggiunto e forse superato i cento miliardi di euro l’anno. La quinta è lo spostamento degli utili aziendali all’estero invece di essere reinvestiti in gran parte per il riammodernamento dei processi produttivi e per la diffusione di un vasto piano di formazione (non addestramento!) permanente dei lavoratori, come peraltro sancito e auspicato dall’Unione europea per il principio del L.L.L. (Long Life Learning). Un’azione di diffusione di competenze sarebbe peraltro uno dei principali fattori di successo per ottenere un efficace posizionamento di mercato. Rispetto allo scenario appena descritto, lo Stato ha brillato per la sua inerzia e la sua assenza. Non ha governato (volutamente?) ed eliminato le distorsioni di un mercato senza controlli né regolamentazioni tramite la realizzazione di coordinati processi di ristrutturazioni, di lotta all’evasione fiscale e di riciclaggio realizzato dalla attività delle otto mafie liberamente operanti nel nostro Paese! Si è lasciato che il sistema produttivo facesse ricorso massiccio all’indebitamento bancario e non alla utilizzazione di parte dei profitti conseguiti sistematicamente deviati all’estero e alla sottoscrizione di azioni in borsa! La sesta è lo spostamento di beni e dei servizi pubblici dello Stato sociale in mani private con la svendita di aziende sane opportunamente collassate per cederle a prezzi stracciati a gruppi stranieri fiancheggiati da precise compagini politiche nazionali, una volta dedicate alla tutela dei diritti contrattuali e di legge. La settima è la demolizione sistematica del sistema sanitario nazionale con la chiusura di decine di ospedali, la compressione dei letti nei reparti di pronto soccorso e di terapia intensiva. Un trasferimento di oltre trentasette miliardi di euro verso la filiera ospedaliera sanitaria privata e alla filiera dell’accoglienza e della cosiddetta inclusione gestiti da una costellazione di strutture private con forza lavoro gratuita ma con enormi profitti che finiscono nelle tasche dei loro dirigenti. Fra queste strutture, brilla per dimensione e pervasività una ben nota “Comunità” che non tarderà a collassare dietro alle conseguenze delle sue mire speculative.

Indebitamento, lavoro volontario gratuito e pagato poco, indebitamento internazionale, riciclaggio, quindi. Come direbbe l’attuale inquilino di Palazzo Chigi? È il Whatever it takes (ad ogni costo), bellezza!


di Manlio Lo Presti