La sperequazione della distribuzione reddituale a danno della classe media

giovedì 3 marzo 2022


Negli ultimi trent’anni, a partire soprattutto dagli anni Novanta, è aumentata in modo progressivo la disuguaglianza nella distribuzione del reddito degli italiani. Questo è quanto si evince dall’analisi condotta da molti anni da parte della Banca d’Italia riguardo alla distribuzione del reddito basata principalmente sull’indagine riguardo ai bilanci delle famiglie italiane. I risultati ineriscono alla distribuzione del reddito complessivo, ovvero sia da lavoro dipendente, sia da lavoro autonomo e sia da capitale, al netto delle tasse pagate al settore pubblico e dei trasferimenti da esso ricevuto, come pensioni e assistenza sociale. Per effettuare questa analisi la Banca d’Italia si è basata sull’indice Gini, ossia quella misura della distribuzione del reddito pari a 0 quando il reddito complessivo è distribuito in modo uguale tra le unità della popolazione e pari a 1 quando è concentrato in una singola unità.

L’indice succitato è aumentato in modo significativo tra il 1991 e il 1995 e ciò è stato dovuto soprattutto alla crisi valutaria avvenuta agli inizi degli anno ‘90. Infatti, in quel periodo, il reddito medio italiano, al netto delle tasse e dei trasferimenti, iniziò a declinare del 5 per cento, con un distinguo rilevante da palesare, ossia che le famiglie con un benessere più elevato, corrispondente al 20 per cento più alto della distribuzione non furono impoverite da questa crisi, mentre ci fu una significativa diminuzione di reddito dell’11 per cento per le famiglie con reddito più basso, questa aumento delle disuguaglianze ha vanificato la tendenza verificatasi durante gli anni Sessanta verso la riduzione delle stesse. La stessa Ocse, secondo degli studi effettuati al riguardo, conferma che la disuguaglianza del reddito sarebbe aumentata soprattutto per i redditi dei non pensionati rispetto a coloro che sono pensionati. Invece, secondo il World Inequality Lab la disuguaglianza del reddito avrebbe raggiunto i massimi livelli nel 2018-2019, rispetto agli ultimi quarant’anni.

Mentre, secondo quanto riporta la World Bank, la quota corrispondente al 10 per cento delle famiglie con un reddito più elevato avrebbe oscillato tra il 25 e il 27 per cento dal 1995 al 2017, scendendo fino al 2017, per poi risalire successivamente, crescendo in modo significativo tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta. Tutta questa sperequazione reddituale, ovviamente, si è incrementata in modo esponenziale durante la pandemia del Covid-19, dove coloro che posseggono un reddito più alto hanno aumentato il loro livello economico in rapporto a coloro che detengono redditi più bassi, intensificando quel processo iniziato negli anni Novanta di distruzione progressiva della classe media, con l’aumento di ricchezza per le classi reddituali più alte e l’aumento del numero di coloro appartenenti alle classi reddituali più basse, sempre più in difficoltà economica.

Dall’analisi approfondita della storia economica della Repubblica italiana, emerge maggiormente il dato inconfutabile del progressivo declino del ceto medio e del suo impoverimento negli anni, a causa di politiche economiche penalizzanti per tutto il settore delle piccole e medie imprese, che grazie anche alle limitazioni per i loro reinvestimenti aziendali, causate dall’oppressione tributaria e dalla mancanza di politiche per ridurre il famoso cuneo fiscale, ossia la tassazione sul costo del lavoro, non solo ha indotto numerose aziende e detentori di partite Iva a chiudere la propria attività, ma ha anche determinato un aumento esponenziale della disoccupazione e degli inoccupati, ossia coloro che non cercano più lavoro a causa della mancanza di offerta.

Quisquis habet nummos secura navigat aura (Petronio).


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno