Pnrr: un tagliando a chi lo ha gestito

Domenica 10 aprile è stato pubblicato un interessante lavoro dell’Ance, un lavoro oggettivo e inattaccabile; un lavoro che riporta integralmente lo stato dell’arte del Pnrr relativo ai progetti locali e quello che preoccupa di più è la triste scoperta di dati, di eventi e di situazioni che, purtroppo, erano identici già nel mese di febbraio del 2021. Sì, erano così già all’insediamento dell’attuale Governo.

Cosa ancor più grave, e mi prendo la responsabilità di annunciarlo, le percentuali fornite per i progetti locali sono praticamente identici a quelli relativi, sempre nel campo delle infrastrutture, ai progetti di competenza dell’organo centrale e delle grandi Aziende. Stranamente il ministro Enrico Giovannini più volte aveva descritto un quadro ricco di impegni assunti, di progetti pronti, di cantieri vicini alla apertura, di previsioni tutte confermate. Invece, oggi non io, non le mie analitiche e documentate previsioni ma quelle, ripeto, di un organismo come l’Ance, di un organismo che, addirittura, aveva in più occasioni apprezzato l’operato del ministro e creduto nei vari annunci, è costretto a fornire il quadro reale, a fornire la sconcertante immagine che è senza dubbio forte quando denuncia che:

il 72 per cento dei progetti territoriali candidati o finanziati dal Pnrr non è stato aggiornato rispetto agli incrementi di prezzi dei principali materiali da costruzione registrarti nell’ultimo anno;

l’80 per cento dei progetti non ha un progetto esecutivo che consente di aprire il cantiere;

il 66 per cento ha solo un progetto di fattibilità tecnica economica (che richiede l’approvazione di ulteriori livelli di progettazione prima di consegnare i lavori);

il 54 per cento dei progetti non è realizzato sulla base di un computo metrico, ma sulla base di una stima parametrica. Sono questi i tre più allarmanti dati dell’Ance.

Ancora più preoccupante è il dato relativo al campione: i progetti presi in considerazione dall’Ance sono 596 per un valore di 1,2 miliardi di euro provenienti da 177 Enti. La ripartizione territoriale del campione considerato non è equilibrata perché l’86,4 per cento delle risposte arriva dal Nord, l’11,3 per cento dal Sud e il 2,3 per cento dal Centro. Questo dato dimostra che le Amministrazioni del Nord risultano più efficienti soprattutto sul fronte della capacità progettuale.

Questa analisi sullo stato delle proposte progettuali può essere praticamente ripetuta, come dicevo prima, anche per le grandi infrastrutture. Ora, di fronte a simili dati così, più che un tagliando al Pnrr il presidente Mario Draghi dovrà farlo alla organizzazione che da 14 mesi (periodo di attività dell’attuale Governo) tenta di dare attuazione al Pnrr. Per organizzazione intendo sia la serie di strutture, di governance, di sedi programmatiche che di responsabili preposti all’interno di tali organismi. In fondo avevamo, in buona fede, creduto non solo alla buona volontà ma anche alla carica di dati e di assicurazioni che quasi giornalmente alcuni ministri, tra cui in particolare il ministro Giovannini, avevano cadenzato un itinerario realizzativo del Pnrr che, invece, allo stato, dopo quasi due anni dalla decisone della Unione europea, dispone di un numero limitato di progetti esecutivi e, come da me ricordato da almeno quattro mesi, non ha attualmente nessun cantiere aperto.

Oggi ormai si corre ai ripari pensando a un Piano che, come anticipato dal ministro Daniele Franco, dovrebbe articolarsi in due distinti ambiti programmatici: uno relativo al breve termine ed uno relativo al medio termine. Nel breve termine troverebbero spazio quegli interventi in grado di attivare concretamente le risorse. Una simile scelta, ormai obbligata, toglie senza dubbio la organicità strategica che il Pnrr possedeva e, soprattutto, ridimensiona, in modo sostanziale, i trasferimenti, almeno nel breve termine, al Mezzogiorno. Tuttavia, anche con una simile operazione non credo si riesca a superare le negatività che hanno caratterizzato finora gli approcci da varie parti al Pnrr.

Ritengo quindi opportuno indicare alcuni possibili comportamenti spero utili per superare questa grave criticità:

– la presenza di tante governance rappresenta un vincolo procedurale nell’attuazione del Pnrr e anche il ricorso a strumenti come quello del “commissario” invece di dare organicità alle scelte, almeno per il comparto delle infrastrutture, si è rivelato inconcludente o, al massimo, utile solo per l’avvio della fase programmatica e progettuale. Per cui sarebbe opportuno responsabilizzare davvero le strutture della Pubblica amministrazione;

– la squadra di Governo ha in questa fase (lunga già 14 mesi) essenzialmente mirato a dare forte rilevanza alla definizione programmatica anticipando, sostanzialmente, la conclusione di interventi che nella realtà erano solo, nel migliore dei casi, in una fase pre-progettuale. Quindi, l’attuale squadra non ha compreso che l’obiettivo era quello di attivare concretamente la spesa. Sicuramente molti diranno che non ha senso o, addirittura, non è possibile cambiare alcuni membri del Governo a soli 10 mesi dalla fine della legislatura; a queste giuste considerazioni rispondo che se fra 10 mesi non avremo attivato la spesa avremo solo tre anni per farlo e quello che oggi annunciamo come possibile fallimento sarà un sicuro fallimento. Tra l’altro la Unione europea, in più occasioni, ha prospettato questa rischiosa conclusione;

– ottimo e capillare il lavoro dell’Ance; penso che questa presa d’atto smorserà quella carica di apprezzamenti da parte dell’Ance nei confronti dei vari ministri che si sono succeduti nell’ultimo biennio al Dicastero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, dalla ex ministra Paola De Micheli al ministro Giovannini. Il presidente Gabriele Buia penso si sia convinto che il comparto delle costruzioni si è arricchito di tanti provvedimenti sostitutivi di quello che ritengo il peggiore atto amministrativo della nostra storia repubblicana, mi riferisco al Codice Appalti del 2016, e penso stia assistendo alla definizione di un disegno di Legge delega per la definizione di un nuovo Codice che, come ho riportato una settimana fa in una mia nota, ha la seguente cadenza temporale:

– entro giugno 2022 l’entrata in vigore della Legge delega ora all’esame del Parlamento;

– entro marzo 2023, l’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi;

– entro giugno 2023, entrata in vigore di tutte le altre normative (primarie e subprimarie);

– entro dicembre 2023 il pieno funzionamento del sistema nazionale di e-procurement.

Sembra davvero incredibile ma, purtroppo, questa cadenza ci porta al 2024. Cioè il presidente Buia sicuramente si è reso conto che quel tavolo unico presso la presidenza del Consiglio, da lui tante volta richiesto, in cui, in soli 60 giorni, affrontare e risolvere lo stato drammatico dell’intero comparto, quel tavolo non presso il ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili o presso il ministero del Sud e della Coesione territoriale o presso il ministero dell’Economia e delle Finanze ma presso il presidente del Consiglio Draghi non c’è stato e, purtroppo, si rischia di non istituirlo più. A meno che lo stesso presidente non si convinca che forse sia opportuno rivedere la squadra; un fallimento, infatti, coinvolgerebbe anche la sua consolidata capacità.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 20 aprile 2022 alle ore 10:51