Ex Ilva: una triste avventura

mercoledì 7 dicembre 2022


Solo poco più di un mese fa, con una mia apposita nota, avevo ricordato che il presidente di Acciaierie d’Italia (ex Ilva), Franco Bernabè, intervenendo al XVII Congresso Uilm aveva denunciato la forte criticità del gruppo, con gravi problemi di accesso al credito e con impegni finanziari, da parte dei soci, non mantenuti. Impegni non mantenuti come, solo a titolo di esempio, i famosi 700 milioni stanziati dal decreto legge Aiuti bis mai arrivati. In particolare, il presidente Bernabè, sempre un mese fa, era stato molto esplicito: “I 700 milioni non li abbiamo ancora visti né abbiamo visto nessuno dei finanziamenti che il Governo ha stabilito di dare ad Acciaierie d’Italia. Sicuramente ci saranno e li utilizzeremo, ma fino ad ora devo dire che Acciaierie sono state gestite in una situazione che in tanti anni di esperienza non ho mai visto, senza accesso al credito, senza finanziamenti degli azionisti”.

Sempre nella mia nota, ribadivo che Bernabè rappresentava il socio pubblico, cioè colui che avrebbe dovuto davvero garantire gli impegni assunti e finora non mantenuti dallo Stato. Avevo riconosciuto al presidente Franco Bernabè un apprezzabile coraggio nel dichiarare “abbiamo fatto uno sforzo importante per mantenere una azienda che è stata abbandonata per sette anni, gestita da due commercialisti e un avvocato per sette anni; ma come ha potuto sopravvivere un’azienda in queste condizioni? Tuttavia, stiamo sviluppando un piano di emergenza per far fronte alle difficoltà che abbiamo e che continueremo ad avere. Soprattutto, stiamo lavorando a una diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas, per tutelare la continuità produttiva”.

Pochi giorni fa, per sopraggiunte crisi di liquidità, Acciaierie d’Italia ha sospeso gli ordini a 145 imprese dell’indotto. Questa volta sono rimasto sconcertato dalle dichiarazioni del presidente Bernabè, che riporto di seguito: “Non c’è alcun intendimento di fare pressione sul Governo da parte dell’amministratore delegato sul miliardo previsto dal decreto legge Aiuti. Ma è innegabile la situazione di sofferenza, tanto più perché questi soldi sono stati stanziati ma non sono arrivati. La gestione della liquidità è per noi un problema gigantesco, non c’è intendimento di fare pressione sul Governo che ci ha costantemente sostenuto, parlo del Governo Draghi. Ed è molto forte l’attenzione che sta dedicando al problema il Governo Meloni”.

Ho riportato integralmente questa dichiarazione, che tra l’altro è leggibile su diversi quotidiani nazionali, perché si scopre un presidente Bernabè imbarazzato di dover prima denunciare il mancato trasferimento di risorse e poi quasi ringraziare devotamente il Governo. Il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, invece ribadisce: “Siamo di fronte ad una Azienda che tiene in ostaggio la più grande fabbrica italiana, le vite delle migliaia di lavoratori e le sorti di una intera città. Utilizza gli andamenti di mercato e della politica per colmare le lacune della propria programmazione e le perdite, magari registrate anche altrove, approfittando del contribuente italiano e accampando continui pretesti per non completare gli investimenti in tema di sicurezza e ambiente. È ormai evidente che ArcelorMittal si comporta con Taranto e l’Italia da puro e semplice speculatore. La città lo ha compreso, non si farà più umiliare così. Chiede che vada via e lasci posto in fretta allo Stato o, comunque, a operatori in grado di rispettare la comunità e curare meglio gli interessi nazionali”.

Devo dare atto che, dopo almeno cinque anni di completa atarassia, un mese fa – in occasione del Congresso della Uilm – il segretario generale Rocco Palombella aveva precisato: “Gli impianti di Taranto, Genova e Novi sono quasi in una situazione di non ritorno, la produzione è ai minimi storici, mancano le risorse finanziarie per la gestione ordinaria degli impianti, gli investimenti ambientali e tecnologici sono ridotti al lumicino e 3mila lavoratori sono in cassa integrazione dall’inizio di marzo. A questi si aggiungono i 1.700 dell’amministrazione straordinaria in cassa integrazione da oltre 4 anni (ripeto, quattro anni) e l’indotto, che è quello più colpito. La situazione rischia di precipitare da un momento all’altro”.

In quella occasione, riportai anche per correttezza mediatica quanto sostenuto dall’Amministratore delegato, Lucia Morselli: “Nessun investimento è stato fermato. Tutti gli investimenti sono stati confermati e col piano ambientale siamo leggermente in anticipo. L’emergenza gas, con i prezzi lievitati e la penuria, porterà qualche cambiamento ma nulla che possa compromettere il futuro dello stabilimento. Anzi, probabilmente ne usciremo più forti”. E ricordai anche che quella dichiarazione tranquillizzava solo la dottoressa Morselli.

Ora, penso che dopo le parole del presidente Bernabè, che per la preoccupante mancanza di chiarezza trova solo una giustificazione nel suo delicato ruolo di uomo delle istituzioni e di amministratore di una Società privata, e dopo la trasparente e gravissima dichiarazione del sindaco di Taranto, il Governo debba dare corso a quanto da me anticipato già un mese fa. Cioè, è necessario che:

gli impegni assunti anche dall’ultimo Governo Draghi si trasformino in atti compiuti;

il supporto finanziario sia davvero accettabile, cioè raggiunga una quota di almeno 3 miliardi di euro;

il sindacato istituisca un organo di controllo in stretta collaborazione con il ministero dell’Economia delle Finanze che, disponendo di un nuovo strumento di controllo sull’avanzamento degli investimenti (il cervellone Regis), possa fornire i reali avanzamenti di quanto deciso programmaticamente;

– la Regione Puglia cambi il mediocre e indifendibile comportamento finora seguito, basato essenzialmente sul ricorso sistematico a forme mediatiche inutili ed inconcludenti;

– il Governo dia corso, proprio alla luce di quanto dichiarato dal ministro Adolfo Urso, ad una soluzione di continuità nella gestione dell’impianto.

Preoccupa, tra l’altro, il commento di Urso, il quale ha precisato: “Il Governo non può essere sotto scacco, non siamo ricattabili da parte di alcuno. Questo vale per chiunque si confronti con l’Italia”. Rivolgendosi, in particolare, a coloro che detengono il 60 per cento della Società, cioè gli indiani di ArcelorMittal. Sempre il ministro ha fatto presente che “è stata una decisone sorprendente. Ho avuto un confronto personale nei giorni precedenti con l’Azienda (proprio nelle persone del presidente Bernabè e dell’Amministratore delegato Morselli), ma nessuno mi aveva detto che c’era una decisione di questo tipo”.

Questo Governo sa bene che non si può sottovalutare una bomba sociale di 25mila lavoratori (questo è ormai il numero stimato delle persone che tra diretti e indiretti vivono, direttamente ed indirettamente, una simile crisi ormai storica). E non può sottovalutare la denuncia di un sindaco di una città di 200mila abitanti, di un sindaco a cui i vari governi che si sono succeduti e lo stesso management di ArcelorMittal avevano assicurato impegni non mantenuti.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole


di Ercole Incalza (*)