Attuare il Pnrr e i piani collegati

In questi giorni abbiamo potuto leggere i dati forniti dall’Osservatorio Cresme-Sole 24 Ore sugli appalti pubblici per l’anno 2022 e, in particolare, il dato più rilevante è quello relativo ai bandi di gara pubblicati (24.769) per un importo globale di 83 miliardi di euro (in modo sintetico riporto i dati qui).

Forse sarebbe stato più opportuno comunicare questi dati senza dare molta enfasi, senza ritenere questi elenchi di risultati raggiunti nel 2022 come dei veri successi. O, addirittura, dei veri primati. In realtà, questa esplosione di bandi di gare denuncia che per quasi otto anni non è partita quasi nessuna opera. Poi, se entriamo nel merito dei 24.764 bandi di gara, scopriamo che quasi il 90 per cento è relativo a progetti di fattibilità tecnico-economica.

Quindi, questo interessante quadro di “numeri” comunica che per otto anni non si sono aperti nuovi cantieri e, ancora peggio, non si sono redatti progetti esecutivi. Trattandosi di progetti di fattibilità, ci si chiede perché i bandi non siano partiti prima. Cioè, emerge in modo chiaro la più volta denunciata volontà dei governi che si sono succeduti, soprattutto tra il 2015 e il 2021, di non assicurare risorse in conto capitale per realizzare nuove infrastrutture e non solo, come più volte denunciato, per una cattiva conduzione burocratica della Pubblica amministrazione.

Dobbiamo, quindi, avere il coraggio di entrare in modo analitico nella massa dei bandi, nell’enorme bagaglio di progetti di fattibilità tecnico-economica, per renderci conto che per trasformare tali progetti in “cantieri”, nel migliore dei casi, occorrono 15-20 mesi. In realtà, se ci soffermiamo un po’ a lungo e approfondiamo in modo capillare tutti i contenuti dei bandi, scopriamo che degli 83 miliardi di opere messe in gara solo 8 miliardi di opere, forse, saranno cantierate concretamente nel 2023 (e questo già sarebbe un grande successo, perché il dato più vero e difendibile non supera i 5 miliardi di euro). E solo ulteriori 14 miliardi di euro sarà possibile cantierare nel 2024.

Siccome molti riterranno generica e non motivata una simile precisazione, ricordo che – escludendo le Ferrovie dello Stato – le altre stazioni appaltanti non sono assolutamente in grado di garantire, in un arco temporale di un anno, il concreto ottenimento dei vari processi autorizzativi; non sono in grado di mettere a disposizione le aree necessarie per avviare i cantieri. E tutto ciò è dovuto anche all’assenza rilevante di personale tecnico-amministrativo negli Enti locali (una denuncia, questa, sollevata più volte dal presidente dell’Anci, nonché sindaco di Bari, Antonio Decaro).

Cioè, nel biennio 2023-2024 degli 86 miliardi di opere messe in gara, solo 23 miliardi si trasformeranno in opere cantierate mentre, cosa gravissima, i restanti 60 miliardi, cioè l’importo delle opere che dovrebbero essere avviate nel restante periodo lungo circa due anni, forse non partiranno neppure, soprattutto quelle garantite dal Pnrr perché scopriremo che non è possibile completarle entro il 31 dicembre 2026. Se, ripeto, tentassimo di approfondire, in modo non prevenuto, i progetti in gara scopriremmo che sarà possibile completare sia le opere del Pnrr che quelle del Pnc (Piano nazionale complementare) non entro il 31 dicembre del 2026 ma almeno dopo ulteriori 36 o, addirittura, 48 mesi.

Quest’analisi non vuole assolutamente denigrare l’interessante risultato ottenuto con le gare d’appalto, né vuole mettere in dubbio la qualità del lavoro prodotta dal Cresme, né intende spegnere l’ottimismo presente in questi primi mesi di legislatura. Ma vuole solo ricordare che il Pnrr contiene al suo interno un riferimento nuovo che, purtroppo, avevamo sottovalutato o dimenticato: l’obbligo di rispettare una scadenza temporale.

Allora, illudersi di mantenere gli impegni, di onorare le scadenze impossibili dopo una folle stasi di due anni e mezzo (dalla data del mese di giugno 2021 in cui è stato autorizzato il Pnrr, a oggi sono passati 30 mesi), significa solo convincersi, giorno dopo giorno, di non essere in grado di rispettare le scadenze e quindi di dover rivedere integralmente l’intero impianto programmatico. Il ministro Raffaele Fitto sin dal primo momento è stato cosciente di una simile realtà. Bisogna dare atto anche all’ex ministro dell’Economia e delle finanze, Daniele Franco, che nell’estate del 2022 a Cernobbio ammise la necessità di una rivisitazione del Pnrr. Vorrei aggiungere che qualsiasi rivisitazione, qualsiasi nuovo accordo con l’Unione europea impone, a mio avviso, il ricorso a un nuovo codice comportamentale: ho ricordato più volte che è stato possibile realizzare l’alta velocità ferroviaria nel nostro Paese, perché si è fatto ricorso a un management di privati presenti in grandi realtà come l’Iri, l’Eni, la Fiat e la Montedison.

Con questo non voglio togliere nulla al management presente nelle Ferrovie dello Stato o in altre Amministrazioni pubbliche. Ma il rapporto con il territorio e la disponibilità capillare delle presenze in aree delicate del Paese penso che imponga il coinvolgimento di grandi Società private, come l’Enel, Terna, l’Eni. Occorre, cioè, che lo Stato di fronte a questa consolidata incapacità a far partire la “spesa” ricorra a metodi, a logiche che, necessariamente, impongano il coinvolgimento di organismi privati. Lo so, difficilmente sarà presa in considerazione una simile proposta perché, a prima vista, sarà interpretata come una linea poco trasparente o come una delegittimazione del ruolo e della funzione della Pubblica amministrazione.

Ricordo, però, che perdere forse più di 40-50 miliardi del Pnrr non può assolutamente trovare risposta in simili giustificazioni. Il nostro Paese non può permettersi il lusso di perdere oltre due punti e mezzo di Pil.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 14 febbraio 2023 alle ore 12:19