Esiste solo la forza economica degli hub logistici del nord

Soffermiamoci un attimo su queste realtà: Torino, Milano, Brescia, Bergamo, Verona, Vicenza, Padova, Trieste. Se per un attimo invece di pensare alla dimensione urbana pensassimo a quella legata alla capacità logistica e, in particolare, prendessimo come riferimento gli Hub logistici di Orbassano, Novara Boschetto, Mortara, Melzo, Verona, Padova e Trieste, scopriremmo che questo sistema logistico lineare ubicato praticamente lungo un asse che attraversa quattro regioni, rappresenta circa il 45-50 per cento dell’intera movimentazione merci del Paese; ricordo solo a titolo di esempio alcuni dati: mediamente la movimentazione annuale di nodi logistici ubicati su tale asse è caratterizzata da questi indicatori: l’interporto di Orbassano, di oltre 300 ettari, movimenta circa 2 milioni di tonnellate, l’Hub logistico di Mortara movimenta 200mila tonnellate, l’Hub di Novara Boschetto movimenta 308mila container, quello di Melzo oltre 280mila container, quello di Brescia circa 450mila, il quadrante Europa di Verona, con oltre 400 ettari, movimenta 7milioni di tonnellate su ferrovia e 20 milioni su strada, quello di Padova, con oltre 280 ettari, movimenta 270mila container e l’Hub logistico di Trieste movimenta 760mila container. Ma questo approccio sarebbe miope se non denunciasse le reali interdipendenze con altri Hub logistici quali quelli di Bologna, di Parma, di Pomezia, di Fondi, di Nola Marcianise e con i porti di Genova, La Spezia, Livorno e Ravenna.

Ebbene, approfondendo le interazioni tra questi ultimi Hub del centro-sud con quelli del nord scopriremmo che in realtà la forza logistica, la dimensione strategica delle attività presenti nell’asse descritto prima non solo è dominante ma condiziona la crescita o la crisi di tali Hub e raggiunge la soglia di oltre l’80 per cento dell’intera movimentazione del Paese; appare evidente da questi dati che il motore chiave del sistema logistico del Paese si ferma a Napoli.

Da un simile approccio, in realtà, si evince che le realtà pugliesi, lucane, calabresi, siciliane e sarde non hanno nessun riferimento in grado di aggregare ed ottimizzare i processi legati alla movimentazione ed all’accesso ai mercati di un numero rilevante di filiere merceologiche.

Quindi è inutile continuare a rincorrere le Zone economiche speciali (Zes), è inutile assicurare investimenti e coperture finanziarie per iniziative che poi non trovano nessun riferimento attivo e vitale proprio in ciò che dovrebbe essere l’indicatore chiave della dimensione produttiva di aree del Mezzogiorno; ripeto di aree in cui troviamo, allo stato, solo i seguenti Hub logistici:

1) Nola – Marcianise.

2) Gioia Tauro.

3) Bari Lamasinata.

4) Interporti di Termini Imerese e Catania.

5) Augusta e Palermo.

6) Porto di Cagliari.

Sicuramente l’analisi su questi Hub è superficiale e certamente l’unica certezza di movimentazione, anche se legata solo ad attività di transhipment, l’abbiamo per il porto di Gioia Tauro, il resto è solo una pura constatazione di una consolidata crisi legata alla assurda e discutibile decisione dei vari soggetti preposti alla gestione della produzione di inviare, quasi il 70-80 per cento della quantità prodotta, verso gli Hub del nord; sì proprio verso quelli dell’asse Torino-Trieste o a quelli direttamente ad essi collegati come i richiamati nodi di Bologna, di Parma, di Livorno, di La Spezia, di Ravenna e di Genova.

È triste doverlo ammettere ma un simile approccio penso rappresenti la constatazione più “fredda” e più “asettica” di ciò che oggi sia il Mezzogiorno del Paese e quanto la sua dimensione produttiva e logistica sia lontana da soglie capaci di raggiungere livelli di convenienza paragonabili con quelli presenti negli Hub indicati all’inizio ma, cosa ancor più grave, prende corpo una vera paura, una vera e motivata preoccupazione: si teme che qualsiasi incentivo non riesca a modificare un assetto che si è consolidato nel tempo e, al tempo stesso, si diventa sempre più convinti che la modifica di una simile realtà sia possibile solo coinvolgendo, da subito, i gestori degli Hub logistici dell’asse del nord.

Di fronte ad una simile constatazione non ha più senso che sia lo Stato a produrre processi pianificatori come, ripeto, le Zes, non ha senso che sia lo Stato a sollecitare, supportando finanziariamente, la creazione di nodi intermodali. Purtroppo ogni azione dirigistica su questo comparto decisivo per la crescita del Paese si è rivelata, finora, sempre poco utile per le realtà del Mezzogiorno. In proposito ricordo due esempi:

1) La Legge 240/1990 sugli interporti e sulle piattaforme territoriali logistiche diretta a favorire la concentrazione dei flussi di trasporto delle merci, razionalizzando il territorio e riducendone l’impatto ambientale.

2) Il Decreto Legge n.91 del giugno 2017 per la crescita economica nel Mezzogiorno, ha previsto e disciplinato la possibilità di istituzione delle Zone economiche speciali (Zes) all’interno delle quali le imprese già operative o di nuovo insediamento possono beneficiare di agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative.

Qualcuno potrebbe però chiedere: cosa potrebbe accadere se gli operatori del nord non accettassero un simile coinvolgimento e se non collaborassero nella costruzione di una rete davvero integrata capace di trasformare l’anomala distinzione tra un’area della ottimazione dei processi ed un’area della pura “sopravvivenza”, in un sistema efficace ed efficiente a scala nazionale? Non è facile rispondere ad un simile interrogativo in quanto la proposta indicata prima darebbe origine ad un processo “tartaruga” proprio degli operatori che gestiscono gli Hub del nord. Appena, infatti, una simile proposta dovesse trasformarsi in qualcosa di più concreto ed operativo scopriremmo il grado di utopia contenuto dalla proposta stessa ma automaticamente avremmo forse capito che la realtà del sud, soprattutto per quanto concerne la sua potenzialità legata alla ottimizzazione dei processi logistici, rischia di non creare in futuro mai condizioni convenienza, di non generare mai interesse e questo perché incrinerebbe delle rendite di posizione ormai consolidate.

Questa lunga banale e scontata analisi la si è voluta fare per dimostrare che due linee strategiche che il Governo intende perseguire e cioè:

1) L’autonomia differenziata regionale.

2) La costruzione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep).

Non possono diventare oggetto di un confronto parlamentare, non possono diventare strumenti normativi se prima non si sia in grado di produrre chiarimenti e risposte ad un impianto macro economico che, se restasse tale, manterrebbe invariata ed intoccabile nel tempo sia l’area della “crescita” che l’area condannata per sempre alla “decrescita”.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 28 febbraio 2023 alle ore 12:46