Lavorare presso una Pubblica amministrazione, un falso mito?

Un tempo lavorare presso una Pubblica amministrazione era un traguardo importante. Gli sforzi legati allo studio e al superamento delle difficili prove concorsuali erano ripagati da un salario dignitoso e da concrete possibilità di crescita offerte nel corso dell’attività lavorativa. Oggi il panorama descritto non può dirsi lo stesso. I dipendenti pubblici dei nostri tempi, assunti con i nuovi bandi indetti e per il cui accesso è richiesta la laurea, percepiscono uno stipendio netto non in linea con il costo della vita e subiscono una immobilità di posizione contraria a ogni teoria di governace pubblica. D’altronde, gli stessi dati forniti dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) confermano che il valore medio lordo delle retribuzioni è aumentato in quasi tutti i Paesi che aderiscono all’organizzazione – in Francia e Germania di quasi un terzo – tranne che in Italia, dove invece si registra un calo del quasi 3 per cento rispetto agli importi del 1990.

Per il settore pubblico la principale causa va ricondotta nel mancato rinnovo dei contratti collettivi e alla totale mancanza di opportunità di carriera per il personale interno e in servizio. Si pensi che il comparto dei lavoratori statali ha registrato per il biennio 2019-2021 dei ridicoli incrementi (da un minimo di 60 euro a un massimo di 100 euro lordi) e ha visto la soppressione dell’ex bonus Renzi. Dunque, nemmeno l’ultimo rinnovo contrattuale ha portato nelle tasche dei dipendenti pubblici un aumento degno di essere considerato. Così come nessuna opportunità è offerta, per chi ancora dirigente non è, di superare gli step gerarchici accendendo alle qualifiche dirigenziali. Eppure, la classe dirigente sembra mancare; è la stessa amministrazione a lamentare l’assenza di organico a prescindere da ogni valutazione di competenza ed efficienza. Ancora oggi, nonostante sia contrattualmente prevista espressamente la figura delle “elevate professionalità”, le amministrazioni rimangono ingessate in una struttura che vede la totale assenza di una figura analoga al quadro che si ponga fra le figure operative e quelle dirigenziali.

Il tema della valorizzazione del personale sembra essere sensibile per il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, che della valorizzazione dei giovani talenti ne fa un obiettivo cruciale. Lo stesso riconosce che “un giovane che cerca esperienze significative vuole trovare un’azienda che rispetti le sue aspettative e gli offra opportunità” per questo occorre “concentrarci sulla crescita del reddito e sulla premialità basata sul merito”. Rispetto a tale ultimo punto il ministero intende istituire dei premi in busta paga per i lavoratori pubblici che aderiscono a corsi di formazione, così da aumentare la valutazione individuale dei lavoratori e favorire le progressioni professionali all’interno della stessa area e anche fra aree e qualifiche diverse. L’iniziativa è in linea con la realizzazione di uno degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per il 2023, che prevede la formazione di almeno 750mila dipendenti pubblici entro giugno 2026, di cui 350mila delle amministrazioni centrali. Ma questo sarà sufficiente? Intanto, all’esito del primo incontro avuto con i rappresenti sindacali il ministro ha ammesso che la situazione per i lavoratori pubblici è molto difficile. Il peso dell’inflazione si fa sentire sul netto percepito e sul potere di acquisto dei lavoratori. Che la presa d’atto sia un inizio per praticare la rivoluzione tanto attesa nell’impiego pubblico? Si spera.

Aggiornato il 08 marzo 2023 alle ore 11:31