Pnrr, il motore per una rilettura della Pubblica amministrazione

Più volte ho ricordato che il Ministero dell’Economia e delle Finanze rappresenta, forse da sempre, il dicastero chiave sia per la definizione programmatica delle scelte strategiche nel comparto delle infrastrutture, sia per la identificazione delle possibili coperture, sia per la concreta garanzia delle erogazioni delle risorse da allocare attraverso le Leggi di stabilità annuali. In realtà, i vari dicasteri inseguono ipotesi programmatiche, inseguono pianificazioni e progettualità strategiche, ma il vero riferimento istituzionale in grado di garantire la concreta attuazione è sempre affidato al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Anche il Cipe, o come viene definito oggi il Cipess, è composto da 10 ministri con portafoglio (ministro degli Esteri, ministro delle Imprese e del Made in Italy, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ministro del Lavoro, ministro della Cultura, ministro del Turismo, ministro della Transizione ecologica, ministro delle Politiche agricole, ministro dell’Istruzione e ministro della Università) e 3 ministri senza portafoglio (ministro della Coesione territoriale, ministro degli Affari regionali e ministro degli Affari Europei), cioè è composto da una sommatoria di dicasteri competenti nella definizione delle scelte e nella loro approvazione ma alla fine, se leggiamo attentamente la relazione istruttoria predisposta dal Dipartimento per la programmazione ed il coordinamento della politica economia (Dipe) (relazione sottoposta all’esame del Pre Cipes che del Cipess), scopriamo che la nota formale del Ministero dell’Economia e delle Finanze rimane l’atto determinante e, a mio avviso, davvero esecutivo. I pareri sia del Ministero della Transizione ecologica che della Cultura sono senza dubbio importanti ma il Ministero dell’Economia e delle Finanze rimane a tutti gli effetti il dicastero chiave anche rispetto a quanto proposto dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Questo itinerario metodologico, quindi, fino a ieri, cioè fino alla presentazione del Decreto-legge “Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e del Piano nazionale degli investimenti complementari al Pnrr (Pnc) nonché per l’attuazione delle politiche di coesione e della politica agricola comune”, proposto dal ministro Raffaele Fitto era stato considerato intoccabile e nessun dicastero aveva mai messo in dubbio le sue caratteristiche istituzionali consolidate nel tempo. Per convincersi della forza di un simile impianto metodologico penso sia sufficiente seguire i percorsi che, in tre distinti momenti topici dell’anno, prendono corpo all’interno della macchina dello Stato, mi riferisco alla redazione del Documento di economia e finanza (Def) (da produrre entro il 10 aprile di ogni anno), alla redazione della Nota di adeguamento del documento di economia e finanza (Nadef) (da produrre entro il 27 settembre di ogni anno), alla redazione della Legge di stabilità (da produrre entro il 15 ottobre di ogni anno). Tutti e tre i momenti sono anticipati da incontri e da veri pellegrinaggi presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze da parte dei vari dicasteri per ottenere adeguate coperture finanziarie. Devo essere sincero ma si assiste da sempre ad una immagine umiliante ma obbligata. Tra l’altro questi che definisco “pellegrinaggi”, in realtà confermano non tanto il ruolo filtrante del Ministero dell’Economia e delle Finanze ma, addirittura, la condizione obbligata di ogni dicastero nello scegliere una proposta e nel consentirne davvero la sua realizzazione.

Ebbene, il Decreto-legge proposto dal ministro Fitto cambia questo approccio e, approfittando del Pnrr, forse definisce un codice comportamentale che rivoluziona la tradizione consolidata del passato. Molti si chiederanno quali siano le azioni che hanno dato consistenza e forza ad una simile scelta; io riscontro essenzialmente i seguenti fattori:

1) Il quadro delle risorse del Pnrr ha, per una percentuale superiore al 90 per cento, una provenienza dall’Unione europea.
2) Il quadro delle risorse dei Fondi di sviluppo e coesione (2014-2020 e 2021-2027) ha, per una quota superiore al 45 per cento, una provenienza dall’Unione europea.
3) Il Patto di stabilità in corso di modifica in sede comunitaria non si limita alla identificazione ed al rispetto di determinati indicatori da parte di tutti i Paesi della Unione ma prevede un confronto con ogni singolo Paese per verificare la coerenza e la efficacia delle scelte, anche quelle esterne al pnrr ed al Fondo di sviluppo e coesione.

Le Reti Ten-T, nella edizione in corso di definizione, affronteranno anche le evoluzioni al contorno delle stesse Reti Ten-T; in realtà si riscoprirà una intuizione felice della ex commissaria Loyola De Palacio. Cioè questa scelta di riassetto delle competenze per rispondere ad una emergenza legata essenzialmente al rischio della perdita certa di risorse comunitarie previste sia dal Fondo di sviluppo e coesione che dal Pnrr, diventa una occasione da un lato per ammettere la discutibile impostazione storica che riconosceva al Ministero dell’Economia e delle Finanze la integrale decisione strategica di ogni scelta, specialmente di quelle del comparto infrastrutture, e dall’altro riporta, all’interno della Presidenza del Consiglio, un ruolo che diventa essenziale soprattutto se si vuole riattivare la macchina dello Stato. Se andiamo indietro nel tempo scopriamo che già nel giugno del 2020, in occasione della conferenza stampa dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte sull’approvazione del Pnrr da parte della Unione europea, anticipai la esigenza di dare vita non solo ad una unica governance ma anche ad un superamento delle competenze diffuse all’interno della Pubblica amministrazione ed indicai come modello operativo la istituzione presso la Presidenza del Consiglio di un organo in cui istruire, con la presenza dei tecnici delegati dai vari dicasteri competenti, le varie proposte e, quindi, evitare le fasi disgiunte nel reperimento dei pareri, nel reperimento delle autorizzazioni e delle verifiche della Corte dei conti.

Ricordo a tale proposito sempre quanto detto dal commissario dell’Unione europea agli Affari economici Paolo Gentiloni nell’autunno del 2020 sulla essenzialità di una unica governance e sulla obbligatorietà di un momento autorizzativo unico. È un’operazione questa che ridimensiona le competenze del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti? Assolutamente no! Anzi una simile operazione evita che il Ministero svolga solo un ruolo mirato alla pura elencazione di proposte che poi di fatto il Ministero dell’Economia e delle Finanze possa trasformare in realtà concrete o le bocci. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti diventa una delle tessere del mosaico propositivo che interagisce, tramite proprio la Governance Unica con la Unione europea. Infine, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti possiede al suo interno un riferimento forte quale il Consiglio superiore dei lavori pubblici che, adeguatamente supportato, diventa il vero filtro tecnico economico della nuova stagione del “fare”. Una stagione che da quasi dieci anni è ferma e solo ora ce ne stiamo rendendo conto. Questa presa d’atto e queste scelte procedurali potrebbero, quindi, produrre un forte cambiamento in una componente determinante della Pubblica amministrazione.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 10 marzo 2023 alle ore 16:32