Gli scenari futuri spaventano i mercati

sabato 14 luglio 2012


Probabilmente su qualche giornale ci spiegheranno che è bastato l’annuncio (ufficioso) del ritorno in campo di Berlusconi per causare il declassamento dei nostri titoli di stato da parte di Moody’s, come se un doppio downgrade prendesse forma nell’arco di una notte. Evidentemente l’eventualità stessa che Berlusconi si candidi per la sesta volta a Palazzo Chigi, a 19 anni dal suo ingresso in politica, non giova alla credibilità complessiva della politica italiana, che appare bloccata. E forse (ma è tutt’altro che scontato) in futuro avrà un effetto percepibile sulle valutazioni di agenzie di rating, media e investitori, ma di sicuro non è questo il caso. L’incertezza politica che spaventa i mercati, è legata alla possibilità molto concreta che nel 2013 non ci sia più Monti alla guida dell’Italia, al rischio che il nuovo governo non abbia la volontà/capacità di proseguire con il rigore e le riforme strutturali. Si riferisce a questo Moody’s, quando avverte che «rimane considerevole» il rischio di non attuazione delle riforme e che «il clima politico è fonte di aumento dei rischi», in particolare con l’approssimarsi delle elezioni. Ma la crisi di credibilità riguarda l’intero sistema politico, non solo una parte di esso o un solo leader.

D’altra parte, se non c’è fiducia nel 2013, non dev’essercene nemmeno nei leader e nei partiti che appaiono in grande vantaggio nei sondaggi. Insomma, la prospettiva di un governo Bersani-Camusso non è molto tranquillizzante. Il declassamento coglie il presidente Monti al suo arrivo a Sun Valley (Idaho), per la conferenza annuale dei big della finanza, dei media e della new economy Usa, per l’ennesimo tentativo di rassicurare sul rischio-paese e “piazzare” i nostri titoli di stato. Nel frattempo, all’impietoso giudizio di Moody’s il mondo politico e l’establishment italiani hanno reagito compatti. «Ingiustificato», «fuorviante», «improprio», «ingiusto», «assurdo», «attacco alla democrazia», «ingerenza», le parole usate da esponenti di governo e dei partiti di maggioranza. In una nota le associazioni imprenditoriali ribadiscono che l’Italia è «solida» e bollano il giudizio di Moody’s come «irresponsabile», compilando un duro atto d’accusa contro i signori del rating. Solo la sinistra radicale e Di Pietro, pur di attaccare Monti, sembrano disposti a far leva sulle odiate agenzie. 

L’Italia fa quadrato, insomma, e raccoglie la solidarietà della Commissione Ue e persino del governo tedesco. Il portavoce del commissario Rehn ha definito «inappropriato il timing» di Moody’s, confermando il giudizio positivo sugli sforzi, «senza precedenti», che sta compiendo il nostro paese. «Monti ha fatto riforme con coraggio e forza e ha il sostegno del governo tedesco», dichiarano da Berlino.

Sono gli stessi politici che lamentano l’eccessiva influenza delle agenzie di rating a finire per attribuirgli, con le loro scomposte reazioni, una onnipotenza che non hanno. Da tempo, infatti, per non sbagliare le agenzie non si azzardano ad indicare tendenze da seguire, ma si limitano a registrare un giudizio che i mercati hanno già emesso e scontato. D’altra parte, il declassamento non ha impedito il buon esito dell’asta dei Btp triennali: i rendimenti sono scesi al 4,65% dal 5,30% di giugno, con una richiesta pari a 1,73 volte l’offerta. Dopo una fiammata iniziale lo spread ha ripiegato sotto i 470 punti (-10 rispetto a ieri) e la Borsa si è ripresa chiudendo a +1. Se poi si legge con attenzione l’analisi che Moody’s accompagna al downgrade si ritrovano gli argomenti che leggiamo tutti i giorni negli editoriali dei nostri quotidiani. Dei due fattori chiave indicati, uno è esterno, il rischio contagio da Grecia e Spagna, l’altro interno, l’aggravarsi della recessione e l’aumento della disoccupazione, che rischiano di far fallire gli obiettivi di bilancio. Non è stato forse il presidente di Confindustria Squinzi a dichiarare che il Pil si contrarrà del 2,4% nel 2012, rispetto al -1,2 delle previsioni governative? Moody’s riconosce il «forte impegno» del governo nel consolidamento fiscale e nelle riforme strutturali, e che le misure varate hanno il «potenziale per migliorare le prospettive di lungo temine dei conti e di crescita», ma è preoccupata per l’implementazione delle riforme. Quindi, di nuovo, si esprime sfiducia nei confronti dello scenario politico post-voto.

di Federico Punzi