Martini e il passo indietro dei cattolici

martedì 4 settembre 2012


Le celebrazioni del Cardinale Carlo Maria Martini rappresentano sicuramente la conferma, come ha giustamente sottolineato Ernesto Galli della Loggia, che il cosiddetto popolo di Dio dei cattolici è in realtà una federazione di popoli non solo diversi tra anche antagonisti, concorrenti e profondamente nemici gli uni degli altri. Basti pensare alla scelta istintiva degli estimatori del cardinale defunto di presentare il suo rifiuto dell’accanimento terapeutico come una sorta di ultima e più clamorosa ribellione dei “principe” dei progressisti cattolici nei confronti delle posizioni oscurantiste ed ottusamente conservatrice della Curia di Roma. 

O, più semplicemente, basti rilevare come la sua scomparsa sia stata presentata, sempre dai suoi estimatori e sostenitori e dello stesso giornale su cui scrive della Galli della Loggia e che fatto di Martini il proprio punto di riferimento religioso, morale e politico, come quella del mancato Papa progressista che avrebbe avrebbe dovuto condurre la Chiesa sulla via di un grande cambiamento epocale ed a cui è stato invece preferito a suo tempo un Papa reazionario come Benedetto XVI. Gli estimatori di Martini hanno fatto ciò che Martini non avrebbe mai permesso.

Lo hanno presentato come il Papa della Chiesa progressista milanese in contrasto del Papa conservatore romano, cioè come un anti-Papa lombardo simbolo dell’alternativa morale e politica del Papa della Roma già ai tempi di Sant’Ambrogio bollata come sentina di ogni vizio. La vicenda ha spinto Galli della Loggia a rilevare giustamente come la Chiesa Cattolica non sia solo spaccata in due tra i nostalgici del Concilio Vaticano II ed i nostalgici del pre-Concilio, tra gli innovatori ed i tradizionalisti, tra chi predica il dialogo paritario con le altre religioni anche a rischio di edulcorare e far sbiadire la propria e chi rivendica la superiorità della Chiesa di Pietro sulla base del messaggio biblico del “non avrai altro Dio al di fuori di me”. Ma a questa considerazione, su cui solo chi è cattolico può soffermarsi legittimamente a discutere, va aggiunta una seconda considerazione su cui tutti hanno il diritto ed il dovere di riflettere.

Può una Chiesa cattolica trasformata in una federazione di popoli diversi e duramente antagonisti diventare, come vanno sostenendo i vescovi della Cei e gli ex democristiani di vario genere e colore, tornare ad essere la guida morale e politica del nostro paese? La domanda è sicuramente retorica. E prevede una scontata risposta negativa. Chi vive in una crisi profonda che non sa in alcun modo risolvere, non ha alcun titolo per rivendicare il diritto a guidare un paese che vive una crisi apparentemente senza uscita di cui, oltre tutto, si è in gran parte corresponsabile. E la ragione non è solo che i cattolici riportati alla guida del paese aggiungerebbero crisi alla crisi. Ma, soprattutto, inserirebbero nel calderone delle immani difficoltà italiane, uno spirito che proprio le particolari celebrazioni apologetiche del Cardinale Martini hanno portato prepotentemente alla luce.

Quello di una intolleranza e di un odio per motivi religiosi che nella nostra società secolarizzata sembrava (ma non era assolutamente vero) una sorta di reperto archeologico. Se questo è il frutto dei contrasti in atto nella Chiesa i cattolici si preoccupino della sua composizione prima di dedicarsi alle questioni politiche nazionali. Gli italiani hanno già dato. Anche troppo!


di Arturo Diaconale