Fantacronaca delle primarie Pdl

Quindi le primarie del Pdl si faranno; e questo è un risultato. Il meccanismo dovrebbe funzionare più o meno così: prima quelle di pianerottolo in cui si eleggeranno i delegati di condominio, i quali poi eleggeranno i delegati di rione, che avranno diritto di voto per eleggere i delegati di quartiere, passaggio finale per poter nominare i delegati cittadini. Ogni città potrà poi inviare i propri eletti a libere primarie provinciali (secondo i criteri pre-accorpamento), che sanciranno i delegati regionali i quali dovranno confluire in un numero non superiore a 44 in fila per 3 col resto di 1 nella mega Convention che potrà finalmente eleggere il leader nazionale. Per ora l’ipotesi di voto telefonico, suggerita dal Cavaliere attraverso un centralino elettronico situato a Malindi, è stata scartata per indisponibilità del governo locale ad autorizzare l’uso del territorio nazionale per le primarie di un partito politico straniero. Trattative in corso potrebbero convincere le autorità del Kenya a concedere l’autorizzazione in cambio di una partecipazione del Pdl alle prossime elezioni amministrative a Malindi. Sembrano invece in dirittura d’arrivo l’accordo per il voto via internet tramite tweet di 0,5 caratteri e quello sul televoto attraverso specifiche puntate tv che vedrebbero i candidati comdominiali e di rione conforntarsi su temi come le pulizie nel palazzo o il diritto di parcheggio delle biciclette.

Da indiscrezioni interne sappiamo che si stanno verificando tensioni di fronte alla richiesta fatta da alcuni ex di An che le primarie, a tutti i livelli, vengano allargate anche al voto degli italiani all’estero. Alfano e Cicchitto hanno fatto presente al Cavaliere che sarebbe difficile, in breve tempo, organizzarle, in considerazione del fatto che i sistemi abitativi in sud America e Oceania sono diversi rispetto ai nostri (i condomini sono rari) e anche i livelli amministrativi (regioni, province) non sempre combaciano con quelli italiani. La mediazione, ottenuta da Denis Verdini, prevede che il voto degli italiani all’estero avvenga in Italia con specifici voli charter organizzati dal partito che dovrebbero trasferire gli aventi diritto nei seggi dei paesi di origine dei loro antenati emigrati. Un Comitato dei saggi si riunirà per organizzare uno speciale Dipartimento Italianità del partito che valuti, in tempi ristretti, la legittimità delle singole discendenze. Se la questione non è precisamente come l’abbiamo descritta, diciamo che ci va vicino. Ad occhio e croce, il regolamento delle primarie del Pdl, quello vero, almeno. dalle informazioni che girano, sembra fatto apposta per dissuadere la gente dall’andare a votare. Certo, le ragioni sono molte, a partire dal poco tempo a disposizione con l’inevitabile confronto con le ben più corpose e strombazzate primarie del Pd.

Rimane però la strana anomalia di un’operazione in cui il candidato del rinnovamento (cioè Alfano) viene appoggiato da tutta la vecchia nomeclatura responsabile dello sfacelo: dai colonnelli senza esercito di An, ai notabili di Fi, fino ai capibastone territoriali, in questi giorni abbiamo assisitito ad una processione di dichiarazioni di voto pro Alfano che ha abbracciato tutto “l’arco costituzionale” del Pdl. Sorge il sospetto che queste primarie servano solo a consolidare gli attuali assetti di potere e garantirli nel dopo Berlusconi; quindi, paradossalmente, meno partecipazione c’è, più è possibile il controllo del voto. La grande sfida, nelle moderne democrazie, è tornare a coinvolgere i cittadini nei processi decisionali fondanti. Per i partiti, la via delle primarie risulta uno strumento obbligato per ricostruire il rapporto con i frammentati segmenti sociali, per selezionare la classe dirigente e per intercettare i bisogni di categorie e ambienti sempre più refrattari alla ritualità della politica politicante.

Eppure, osservando il ridicolo in cui sta cadendo il Pdl, sembra che da quelle parti abbiano sposato la tesi tecnocratica sulla funzione della democrazia: se la democrazia «è un lusso che non possiamo più permetterci» (come scrisse il “Financial Times” quasi un anno fa), perché dovremmo continuare a permettercela proprio noi? Quindi nulla di meglio che impapocchiare quello che doveva essere lo strumento del rilancio partecipativo del partito. Sorprende che i guru del centrodestra continuino a ignorare la lezione e a non capire cosa sta succedendo attorno a loro. Ciò che si chiamava Popolo della Libertà è rimasto senza più popolo proprio perché ha deciso di rinunciare alla libertà, che, come spiegò un grande filosofo-cantautore del nostro tempo, Giorgio Gaber, è, appunto, partecipazione.

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:38