Un futuro a sinistra per SuperMario

L'ennesima ricandidatura di Berlusconi è un atto di disperata resistenza – personale e politica – dal cortissimo respiro. Non ha alcuna possibilità di vincere, ma proprio per questo attribuire la reazione dei mercati al timore per un suo possibile ritorno al governo è azzardato. Le cancellerie europee e la comunità finanziaria non lo amano di certo, ma non ne temono il ritorno a Palazzo Chigi. A spaventare, semmai, è la possibilità che l'uscita di scena di Monti sia definitiva e che le elezioni le vinca Bersani. Una lettura – non molto lusinghiera per il Cav ma nemmeno per il segretario del Pd – che onestamente non si può escludere. E' già stato detto tutto il peggio della ri-discesa in campo del Cav, ma non che ha trovato dei complici inconsapevoli in quanti hanno sbagliato tutto negli ultimi 12 mesi. Ogni volta che ha fatto un mezzo passo indietro, quelli che avrebbero dovuto/potuto sostituirlo, alcuni dotati di risorse consistenti e autorevolezza mondiale, per una ragione o per l'altra non hanno mai fatto un mezzo passo in avanti.

Era proprio la via più sicura cercare di “rottamarlo”, stringergli un cappio politico e giudiziario intorno al collo, invece di riconoscergli un ruolo di co-fondatore di un nuovo centrodestra? L'errore è stato pensare che gli italiani insieme a Berlusconi volessero liquidare il bipolarismo e una certa idea di centrodestra. Tutte, ma proprio tutte le operazioni volte al superamento del berlusconismo (Casini, Montezemolo, Alfano dall'interno) si sono rivelate operazioni “centriste”. Mirano cioè a liquidare anche il bipolarismo, a costruire un grande centro perno del sistema, che da una parte, alla sua destra, isolerebbe la Lega, lo zoccolo duro berlusconiano, la destra ex missina, nonché i pochi, e poveri, liberisti, e dall'altra non chiuderebbe certo le porte ad un'alleanza con il Pd o con la sua componente riformista. Peccato che queste operazioni non decollano, il “popolo” di centrodestra sembra ancora affezionato allo schema bipolare di un centrodestra “fusionista”, alternativo alla sinistra. Se tutti avessero avuto lo stesso progetto – un centrodestra alternativo al centrosinistra in uno schema bipolare – Berlusconi probabilmente avrebbe accettato di prendersene alcune “quote” e di farsi da parte (sostituito da Monti, da Montezemolo, o persino da Alfano).

Da un anno il Pdl è al 15%, l'area astensione/indecisi vicina al 50%, milioni e milioni di elettori di centrodestra in “libera uscita” sono arrabbiati e disgustati come non mai. Mai come oggi disponibili a prendere in considerazione nuove offerte politiche, a patto però che non odorino di alleanza con la sinistra. I Casini, i Montezemolo, i Monti, avevano due strade dinanzi a sé: o sedersi attorno a un tavolo con Berlusconi e organizzare un nuovo centrodestra offrendogli delle “quote”; oppure, scavalcarlo completamente, rivolgendosi però al suo elettorato con un'offerta politica di centrodestra, bipolare, chiaramente alternativa alla sinistra. Hanno scelto, invece, uno sterile tatticismo centrista. Per non “sporcarsi le mani”, certo, ma anche perché coltivano un progetto diverso: di centro, non di centrodestra.

Le annunciate dimissioni risparmiano Monti da quel logoramento cui sarebbe stato sottoposto da parte di Berlusconi e del Pdl, ma possono essere interpretate sia come propedeutiche a una sua discesa in campo, diretta o indiretta, sia come una ritirata tattica per preservare la sua figura in vista di un incarico futuro (Palazzo Chigi o Quirinale). A questo punto, però, ci pare piuttosto remota l'unica ipotesi che darebbe al premier qualche chance dal punto di vista elettorale: un Monti che sfidando Berlusconi cercasse di conquistare l'elettorato di centrodestra, presentandosi in alternativa al centrosinistra e ricalibrando la sua agenda per i prossimi anni, spiegando che il secondo tempo intende giocarlo diversamente dal primo. Un'operazione di fatto fondativa di un nuovo centrodestra, che però avrebbe dovuto preparare per tempo, non schierandosi politicamente ma perseguendo una via diversa al risanamento, non basata su aumenti di tasse e non subendo tutti i veti della sinistra.

Se Monti si facesse avanti alla testa, direttamente o indirettamente (concedendo l'uso del suo nome), di un'operazione centrista (Casini, Montezemolo), a prescindere dai pezzi di ceto politico, dal Pdl e dal Pd, che riuscisse ad aggregare, rischierebbe di andare incontro ad un misero 10-12% e, quindi, di bruciarsi. Resta l'ipotesi più probabile: Monti non si espone ma nemmeno resta in silenzio durante la campagna elettorale. Difende il suo operato, i sacrifici di quest'anno, la credibilità riconquistata in Europa, indicando implicitamente in Berlusconi e Grillo gli irresponsabili e, dunque, preparandosi a svolgere un ruolo “legittimante” di un governo di centrosinistra – o dal Quirinale, o da Palazzo Chigi se dalle urne dovesse uscire una situazione di stallo al Senato. E sarà un errore storico.

 

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 13:35