Renzi, Jovanotti e il doppio turno

Nessuno ha capito bene chi dei due imiti l'altro. Ma sta di fatto che Lorenzo Jovanotti e Matteo Renzi abbiano ripetuto all'unisono il mantra oggi di moda all'interno della sinistra italiana secondo cui “ben altre” questioni sono più urgenti del presidenzialismo. A partire dai provvedimenti sul lavoro, sulla cittadinanza, sulla riforma elettorale. L'incertezza su chi dei due detti la linea è profonda. E questo la dice lunga sulla natura della linea attualmente in auge nella sinistra italiana. Anche se, almeno sul tema della riforma elettorale, il sindaco di Firenze ha decisamente scavalcato il cantante dalla voce blesa sostenendo che non c'è alcun bisogno di strologare troppo sul modello elettorale da adottare, visto che basta applicare a livello nazionale il sistema con cui vengono eletti i sindaci ed il gioco è fatto.

In attesa che anche Jovanotti si allinei prontamente alla indicazione del sindaco di Firenze in favore del “sindaco d'Italia”, sia consentita una riflessione, possibilmente non cantata, sulla banalità, non del male ma del cazzeggio, con cui il Fonzie di Santa Croce, il personaggio che si candidata a guidare il Partito democratico e, in prospettiva, l'intero paese, ha affrontato il tema della riforma istituzionale. Jovanotti può permettersi di ripetere il mantra della sinistra ispirato all'antico “benaltrismo” della tradizione comunista secondo cui la riforma istituzionale non è una priorità per il futuro del paese. Ma l'aspirante “sindaco d'Italia” non può permettersi di ripetere lo stesso mantra aggiungendo, tanto per mettere una pietra definitiva sulla faccenda, che non serve il presidenzialismo ma basta una legge elettorale sul modello dell'elezione dei sindaci ed il gioco è fatto. Non può farlo perché il modo con cui i francesi eleggono il loro Presidente della Repubblica è in tutto simile a quello con cui gli italiani delle grandi città eleggono i loro sindaci, cioè con l'elezione diretta ed il doppio turno. E se lo fa mette in mostra una capacità di banalità di cazzeggio notevole ma anche una confusione di idee decisamente preoccupante per un personaggio che per professione non canta negli stadi ma svolge attività politica e punta a governare il paese. Polemica spicciola quella che denuncia la contraddizione di Renzi? Probabilmente sì.

Ma anche una polemica che dovrebbe far riflettere i sostenitori del semipresidenzialismo alla francese su quanto sia difficile contrastare i pregiudizi e le ignoranze incrostate in decenni e decenni di battaglie condotte dalla sinistra contro il modello inventato dal generale De Gaulle per portare la Francia fuori dalla sua crisi. Una tale riflessione non deve portare alla resa. Semmai, alla considerazione che per battere le resistenze antipresidenzialiste possa essere più utile una strategia di aggiramento piuttosto che quella dell'attacco frontale. Se l'obbiettivo è una riforma istituzionale che rafforzi l'esecutivo attraverso l'elezione diretta del Capo del Governo, perché impiccarsi al semipresidenzialismo alla francese che impone un doppio turno fatto apposta per tenere a casa le maggioranze d'opinione e regalare alle minoranza super-organizzate (sindacati e reti di cooperative, ecc.) il potere di decidere le sorti elettorali? Può anche bastare un premierato forte con l'elezione diretta del capo del Governo, la conservazione del Presidente della Repubblica come fattore di garanzia superpartes. E , soprattutto, la consultazione elettorale da celebrare in un turno solo. Quello in cui votano anche le maggioranze d'opinione e non solo le minoranze inquadrate dalle corporazioni di parte. L'esperienza di domenica scorsa dovrebbe insegnare qualcosa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:52