Pdl, l'orizzonte perduto

mercoledì 12 giugno 2013


Ho deciso -lo avevo in mente da tanto,invero - di aderire alla Comunità Opinione e al suo documento. In un certo senso per disperazione. Nemmene per inerzia o perché sono amico di Arturo e di altri. No, proprio per disperazione. Per un senso di smarrimento, di perdita, di vertigine. Mi sono detto: proviamo anche da noi stessi, nel nostro piccolo, in questo spazio sempre più ristretto in cui il pensiero liberale sembra rinchiuso e ciò proprio alla fine o quasi di quello che doveva essere il Partito Liberale di massa. Piuttosto che niente, meglio piuttosto, diceva mia nonna Teresa. E il nostro "piuttosto" sembra sempre più una fievole lucina che vagola sulle macerie elettorali di un Partito che ha perso in due o tre anni pezzi del suo essere, elementi formativi della sua struttura.

Se ne erano andati quelli dell'Udc dopo la fatwa del predellino, poi si vinse ma cominciarono a vibrare altre strutture portanti, come Fini, che andarono per proprio conto. E intanto la Lega si attorcigliava in cretinate folcloristiche tipo i ministeri a Monza, forse per occultare lo tzunami che la stava minacciando e che l'ha poi travolta in mezzo a lauree false e diamandi veri in Tanzania. Ecco, spaesati ci troviamo, e davanti a una sconfitta amministrativa che è politica o meglio, va considerata come tale se non si vuole precipitare oltre, oltre il fondo. Possiamo solo farci delle domande:che fine ha fatto il Partito Liberale di massa? Non c'è mai stato, dice qualcuno. Ma, allora, cominciamo a metterci qualche mattone, o no? Altra domanda:perchè continuiamo a chiamarlo Popolo della Libertà posto che non c'è più Fini, non c'è più An? Ritorniamo all'antico, a FI, o troviamo un altro nome, come suggeriscono quelli del marketing.

E che ne pensa la Ghisleri che pure ci ha confortato di crescite dei sondaggi fino a ieri e, magari, fino a domani, e che ci spiega che le elezioni amministrative sono un'altra storia perché intrecciate indissolubilmente al territorio e a figure forti e convincenti. Appunto. Ma allora, cara Ghisleri, perché non ci si è occupati né del territorio né tantomeno delle figure forti, dei personaggi credibili, dei sindaci potenziali? Già, perché non è cresciuta una classe dirigente degna di questo nome? Perché un Pdl che ha perso tutti i suoi alleati è stato costretto a puntare esclusivamente sul capo carismatico non per vincere alle politiche, ma per perdere il meno possibile, per esserci. Però cinque milioni di voti sono andati in fumo, come i risparmi degli italiani. Un buco nero enorme, pauroso, ma non inaspettato anche se ingannevole per la stupefacente performance di un Cav e le stupidaggini da manuale di un Bersani col risultato miracolistico di un governo zattera di salvataggio dal Titanic Italia. Eppure,c'era stato un tempo di dibattiti, di idee, di proposte, di ideali. Ma perchè nel Pdl e solo nel Pdl appaiono tipi alla Samorì che poi vengono inghiottiti nel nulla da dove provenivano per spacciarsi eredi del Cavaliere? Perché non si torna alla antiche usanze, alle buone abitudini, al lavoro di partito? Ecco, il partito.

Ma c'è ancora? E come si muove? E si muove? Macerie, macerie, illusioni e disillusioni, sconfitte. Eppure, da sempre, queste si possono trasformare in occasioni, in opportunità. Se il partito non c'è più, lo si rianimi, se la gente se ne va, la si richiami. E gli alleati dissolti? Si ricostituisca una politica di alleanze, si incominci a stabilire una rete. Solo che per fare questo occorre sia una classe dirigente sia una cosa semplice semplice: la politica. La politica, questa sconosciuta. E la cultura politica. Occorre un orizzonte su cui collocare un progetto, occorre una visione del paese, ecco. Che visione del Paese abbiamo? Che Italia vorremmo costruire? In che Europa dobbiamo stare? E che sviluppo vogliamo? Domande alte e forti, ma le risposte non mancano, purché si ritorni all'antico, al dibattito, al confronto, alle riunioni, al contatto, ai circoli. Sì, i circoli, perché la gente vuole parlare, è sola, vuole sentire e sentirsi. Si facciano i congressi, almeno. Si parli di cultura, si ritorni al merito,soprattutto. Perché non solo di politica c'è bisogno, ma di cultura, di sapere, di curiosità sul mondo. È una domanda di cultura. Lo sapeva bene Bondi che però è stato costretto a lasciare le cose a metà, quando bastava riunire gli stati generali di questo ex Pdl. Si può fare. Facciamolo. Fatelo. Se non ora, quando?


di Paolo Pillitteri