Lo strano caso del compagno E.

venerdì 9 agosto 2013


Non si tratta,probabilmente di un caso clinico, anche se i sintomi vanno in quella direzione. Ma noi siamo uomini di mondo e tendiamo a credere che, più propriamente, quello del compagno Epifanovic - avrete capito di chi stiamo parlando - sia un caso politico.Che rientra nella vasta casistica delle sindromi che colgono i capi della CGIL non appena salgono ai massimi vertici. Toccò a Cofferati subire quella speciale malattia,o sindrome,che consiste nel radicalizzare le proprie posizioni in funzione della carica raggiunta e, da questa, dettare la linea che, nella fattispecie cofferatiana, si tradusse in un massimalismo parolaio - per dirla col sublime Pansa - specificamente contrassegnato dal totem dell'articolo 18 e, politicamente, in contrasto violento con le tesi del riformista Biagi. La sindrome di Cofferati ha contagiato l'intera sinistra e si è visto a cosa ha portato: al niente. Anzi,ad una regressione vera e propria rispetto alla sinistra mondiale, da Blair a Clinton, che pure era il modello dell'allora partito postcomunista.

 Il Cofferati degli '80 primi '90 non era un massimalista. Era, piuttosto, un moderato, un sindacalista bensì comunista ma dalla linea morbida, flessibile,ispirata a Lama, con un che di riformista in quegli anni peraltro lontani. Poi,salito alla guida del più grande sindacato della sinistra, ha cambiato registro, ha innestato l'overdrive in una battaglia persa in partenza, soprattutto dai lavoratori. Oltre che dalla sinistra. La quale è vissuta e vive di rendita sull'antiberlusconismo assurto a linea politica,oltre che sindacale, trasformando un leader politico in una sorta di uomo nero portatore di ogni nequizia e, in quanto tale, da criminalizzare e infine da distruggere grazie, ovviamente, alla magistratura, ché, politicamente parlando, la sinistra non c'è mai riuscita. Appunto perché vittima di questa sindrome, di questa ossessione. E siamo ad Epifani, al compagno Epifanovic. Il quale, a differenza di Cofferati, proviene dalla tradizione del Psi di Craxi, pur non essendone svisceratamente assertore. Comunque, un moderato, un quiet man, un tranquillo dirigente di una parte di CGIL che aveva avuto in Del Turco il migliore esponente socialriformista. Epifani, segretario di quel Pd che, con Bersani, ha perso le elezioni - che solo per un soffio, non le ha vinte Berlusconi (a parte Grillo) - e che proprio per quella sconfitta, peggiorata da una gestione grottesca postelettorale, sta lassù, pur in una posizione a tempo.

 Da qui comincia la metamorfosi epifaniana, la mutazione da uomo tranquillo a segretario incendiario, da moderatore ad agitatore. La scintilla del cambiamento è stata la sentenza della Cassazione che per Epifanovic ha il valore dell'ordalia, della volontà superiore di una giustizia da tribunale del popolo, infallibile. Tanto infallibile da farci assistere ad una telefonata che sembra uscita da un film con Totò e Peppino nella impagabile sequenza della lettera dettata dall'immortale Principe De Courtis: punto, due punti, punto e virgola, abbundantis ad abbundantiam!. Ecco. Epifanovic nelle vesti del procuratore Vischinskij delle purghe staliniane: niente sconti, nessun accomodamento, basta occuparci dei casi del Cav, un defunto della politica, destinato al macero, agli arresti domiciliari o ai servizi sociali. E guai al Quirinale se oserà l'inosabile, un Quirinale sotto assedio dal partito di Rep, di Grillo e, qua e là, dal Pd. Abbiamo però l'impressione che questo sussulto giustizialista non porterà buono a Epifanovic, sul piano politico, beninteso. Intanto perchè il Cav è vivo in tutti i sensi e poi perché il problema di Epifani non è Berlusconi. Il problema di Epifanovic è il Pd, il suo partito. Un Pd lacerato, incerto, in mille pezzi, senza una linea precisa, senza un'idea di paese, senza un orizzonte definito. A parte quello offerto dal Governo Letta, anche questo sotto pressione. Un Pd, infine, senza un leader, ché Renzi è ancora di là da venire, se lo lasceranno venire. Purtroppo per noi, questo problema dell'assenza di una vera leadership si riverbera, da un Pd senza capo né coda,a tutto il sistema politico italiano. Che, per un miracolo ultraterreno, regge sull'orlo del baratro, grazie a Napolitano.


di Paolo Pillitteri