Le ragioni del popolo del centrodestra

Si dice che il vertice del Partito democratico non possa in alcun modo prendere in considerazione l’ipotesi di non trasformare la giunta del Senato in un plotone d’esecuzione per Silvio Berlusconi. Perché la sua base, come emerge dalle feste democratiche in cui Matteo Renzi ha lanciato la sua candidatura alla segreteria e alla premiership, non chiede ma pretende fortissimamente il plotone d’esecuzione per il proprio avversario storico. E si ribellerebbe, con effetti fin troppo evidenti sull’andamento del dibattito congressuale, a qualsiasi decisione che non prevedesse l’esecuzione immediata ed esemplare del pluricondannato Cavaliere.

Non si dice, però, che se la base del Pd impone ai propri dirigenti di non pensare neppure all’ipotesi del rinvio alla Corte Costituzionale della questione della retroattività della legge Severino, la base del Popolo della libertà e dell’intero centrodestra, cioè una fetta consistente dell’opinione pubblica del Paese, vive la vicenda della liquidazione politico-giudiziaria del leader in cui si è identificata negli ultimi vent’anni nella maniera esattamente opposta. I media omologati al politicamente corretto imposto dalla cultura liberal non ne tengono minimamente conto. Ma questa ampia parte del Paese che si riconosce in Berlusconi considera la sentenza della Cassazione l’epilogo di una persecuzione che ha le sue radici nel golpe mediatico giudiziario con cui vennero eliminati i partiti democratici della Prima Repubblica.

E che su quella scia punta ha tentato per vent’anni di seguito di liquidare l’unico avversario di una sinistra politicamente inadeguata e incapace. Per questa parte dell’opinione pubblica italiana Berlusconi rappresenta se stessa. Considera la persecuzione e il tentativo di liquidazione del proprio leader come un tentativo di cancellazione dell’intera area moderata considerata dalla sinistra antropologicamente inferiore. E non potrebbe mai consentire ai vertici del Pdl di subire passivamente l’esecuzione sommaria del Cavaliere sulla pubblica piazza del Senato. Se dunque i dirigenti del Pd sono ostaggio dei propri militanti che inneggiano alla ghigliottina per l’odiato nemico, quelli del Pdl sanno benissimo che se per caso accettassero senza reagire il taglio della testa del Cavaliere gli elettori del centrodestra li considererebbero dei traditori (non della persona di Berlusconi, ma degli interessi e degli ideali dell’intero popolo moderato) e riserverebbero loro la stessa sorte di Gianfranco Fini.

E la pacificazione che avrebbe dovuto portare dal bipolarismo muscolare a quello maturo e responsabile? Ciò che rischia di saltare in queste ore non è il governo Letta, ma la speranza di uscire finalmente dalla logica della guerra civile permanente ed entrare nell’Era del Paese normale, caratterizzato da una democrazia dell’alternanza simile a quella delle grandi democrazie liberali. Ma si poteva mai sperare di creare un clima di convivenza civile tra schieramenti alternativi con la cultura dell’odio predicata per vent’anni da una sinistra incapace di uscire dal proprio passato? Se può e se vuole il problema lo risolva il Presidente della Repubblica. Che conosce a perfezione quel passato e quella cultura!

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:13