L'uscita dalla crisi e la questione Berlusconi

Telecom, Alitalia, Ilva sono le spie di un fenomeno molto più vasto e grave. L'Italia è diventato il paese meno competitivo dell'Europa. Meno della Spagna, meno anche della Grecia, cioè di quelli indicati un tempo come i fanalini di coda dei paesi del Vecchio Continente. La caduta della competitività indica che la crisi, a dispetto di quanto va sostenendo il Presidente del Consiglio Enrico Letta ed il ministro dell'Economia Saccomanni, non è affatto terminata.

 E, soprattutto, stabilisce che la decrescita del nostro paese non sarà affatto felice come vanno teorizzando alcuni imbecilli talmente ricchi da potersi permettere di fare i paladini del ritorno alla povertà dei tempi passati. E' probabile che neppure il trauma di prendere atto di una crisi arrivata ai saldi di fine stagione riuscirà a convincere classe politica e classe dirigente della necessità di invertire la corsa verso il baratro. Forse bisognerà aspettare che i nuovi padroni di Telecom ed Alitalia procedano a dolorose ristrutturazioni aziendali mandando a casa alcune migliaia di dipendenti.

O forse si dovrà attendere lo scoppio clamoroso di qualche tensione sociale diventata incontrollabile. E' certo, comunque, che se i segnali di oggi del prossimo tracollo non verranno colti non per correre temporaneamente ai ripari ma per imprimere un cambio di rotta radicale, la crisi del paese toccherà rapidamente il fondo. Con tutte le conseguenze che ne deriveranno. Ma come realizzare questo cambio di rotta radicale? Le strade sono solo due. La prima prevede un chiarimento politico di fondo, traumatico ed immediato.

 Cioè la fine delle larghe intese concepite come parentesi paralizzante di una situazione ingestibile, le elezioni anticipate e la speranza che, posti di fronte alla drammaticità del momento, gli italiani sappiano compiere una scelta netta in un senso o nell'altro per sbloccare lo stallo all'insegna della democrazia dell'alternanza. La seconda è che le larghe intese perdano il loro significato di soluzione precaria tra forze alternative che si logorano a vicenda in attesa dello scontro finale ed assumano l'aspetto, in nome dell'interesse nazionale, di una intesa politica straordinaria destinata a durare fino alla realizzazione delle riforme indispensabili alla salvezza del paese. Non ci possono essere soluzioni intermedie tra queste due ipotesi opposte.

 O meglio, ci può essere solo una lenta agonia fatta di rinvii, piccoli compromessi al ribasso su qualsiasi questione, risse continue a beneficio della scena mediatica, nella piena consapevolezza che il tracollo è comunque inevitabile. La scelta tra le due strade alternative è nelle mani degli uomini della sinistra italiana. Di Matteo Renzi, di Enrico Letta, di Giorgio Napolitano. Il primo deve decidere se vuole sul serio conquistare il Pd per puntare subito al governo e provocare le elezioni in primavera. Il secondo deve stabilire se intende trasformare le larghe intese precarie ed accidentali in un governo di straordinaria unità nazionale per le riforme e la salvezza del paese.

Il terzo deve capire che nessuna delle due soluzioni potrà essere efficace e risolutiva se non si troverà una soluzione politica al caso Berlusconi. Caso inteso non come questione personale di natura giudiziaria ma come questione politica che riguarda il funzionamento della democrazia italiana. Non si possono fare elezioni regolari o governi di unione nazionale se il leader in cui si riconosce una parte considerevole del paese e che è determinante sia per il regolare svolgimento di un voto decisivo che per la formazione di un esecutivo straordinario viene bollato come delinquente !

Aggiornato il 09 aprile 2017 alle ore 15:32