La continua retorica del “cambiamento”

Anche nel corso dell’appendice elettorale dei ballottaggi comunali si è usato a piene mani il termine “cambiamento”. Soprattutto i politici in lizza più giovani o più connotati dal profumo del cosiddetto nuovo, a prescindere dal partito di provenienza, hanno cercato di sfruttare questa eterna illusione di una democrazia di carta, emulando le gesta di un Renzi il quale, quando cominciava la sua inarrestabile scalata, prometteva un cambiamento a 360 gradi.

D’altro canto, impegnarsi a chiacchiere a concedere tutto a tutti non costa poi molto nell’immediato. Anzi, sembra che la favola di ottenere la quadratura del cerchio, riducendo la spesa pubblica e la relativa tassazione e contemporaneamente aumentando le prestazioni offerte dalla mano pubblica faccia ancora molti proseliti nel Paese di Pulcinella.

Ed è proprio su questa nuova frontiera del cambiamento di burla che un po’ tutti si lanciano, tanto a livello nazionale che locale. Tutto questo favorito in Italia da una oramai storica mancanza di una diffusa sensibilità sul piano economico-finanziario generale. E sebbene la tendenza ad una decisa perdita della responsabilità individuale si sia diffusa in ogni democrazia, mi sembra di poter dire che noi sotto questo profilo siamo all’avanguardia nel mondo. Altrimenti non si spiegherebbe come sia possibile assistere ad una forma di alternanza politica tutta basata sulle balle e la demagogia. In soldoni, tutti promettono meno tasse e più pasti gratis ad libitum e praticamente nessuno si pone la fatidica domanda: ma chi paga? Domanda che, in verità, la gran massa dei soggetti che finanziano il nostro colossale debito pubblico saranno i primi a porsi quando ci si accorgerà che nessuna seria riforma strutturale è stata realizzata dal Governo dei miracoli fiorentini. In realtà, parecchi analisti internazionali già da tempo dicono che le tensioni sui tassi italiani potrebbero riprendere a farsi sentire dopo l’estate, qualora nulla di concreto fosse stato messo in campo dall’attuale Esecutivo. Ma nel frattempo Matteo Renzi e i suoi tanti emuli sparsi sul territorio italiano potranno prendersi la loro trionfale tintarella, continuando ad illudere una società sempre più immobile che la vera soluzione consista nel cambiare tutto per non cambiare nulla. Dopodiché si farà sempre in tempo a trovare qualche comodo capro espiatorio a cui attribuire le colpe di un fallimento per noi liberali annunciato da tempo.

Fallimento di una democrazia acquisitiva che basa il proprio consenso sempre sullo stesso meccanismo espresso dal grande George Bernard Shaw in un suo celebre aforisma: “Un governo che ruba a Peter per pagare Paul, può sempre contare sull’appoggio di Paul”. Solo che in Italia si sta creando una “nuova” classe politica di imbonitori in grado di far sentire tutti come Paul, almeno sul piano delle aspettative. Ma con l’arrivo dell’ennesima valanga di inasprimenti fiscali, in primis la mazzata sugli investimenti finanziari in vigore dal primo luglio prossimo, si spera che qualche Peter inizi a prendere le distanze da codesta forma di catastrofico cambiamento.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:22