Ricomposizione: non   basta la “perdonanza”

Abbiamo già visto come vanno a finire le aggregazioni politiche che partono dalle fotografie dei vertici ristretti in cui i responsabili dei singoli partiti si stringono la mano e sorridono felici a beneficio delle telecamere. Abbiamo già visto come è finita nel 1994 la prima aggregazione di centrodestra e, circa vent'anni dopo, come si è dissolta la fusione a freddo tra Forza Italia e Alleanza Nazionale.

Se, dunque, per rimettere insieme l’area moderata si pensa a una riproposizione del vecchio schema fondato sull’intesa personale tra i capi partito si compie un clamoroso errore. È bene che Silvio Berlusconi riprenda a telefonare ad Angelino Alfano. Ma è altrettanto bene escludere fin da ora che il metodo per la ricostruzione di un’area di centrodestra, in grado di competere con la sinistra di Matteo Renzi, possa passare attraverso le intese personali o i calcoli dei benefici elettorali che potrebbero scaturire dalle alleanze numeriche. Sappiamo che tutte le intese personali sono aleatorie, perché in politica non vale la riconoscenza (come è stato ampiamente dimostrato dal comportamento dei “diversamente berlusconiani”) e non vale neppure l’amicizia vera o semplicemente ostentata.

Sappiamo anche che i benefici elettorali da alleanze numeriche sono effimeri. Reggono a breve, ma nel tempo tendono a calare e a svanire mano a mano che gli interessi particolari dei singoli leader dei diversi partiti entrano in conflitto tra di loro.

Non è partendo dall’alto e sulla base di fasulle riconciliazioni, allora, che si può ricostruire l’unità del centrodestra. Può essere che il Cavaliere possa perdonare l’irriconoscenza di Alfano, Schifani, Cicchitto e Quagliariello. La generosità è nella sua natura. Ma quanti elettori del centrodestra, quelli che alle ultime elezioni europee hanno clamorosamente bocciato il Nuovo Centrodestra, sarebbero così generosi come Berlusconi tornando a votare per personaggi nei cui confronti hanno perso qualsiasi tipo di fiducia?

La ricomposizione non può essere una “perdonanza”, magari reciproca, tra leader e gruppi dirigenti ristretti. Deve necessariamente partire dal basso ed essere fondata su idee e programmi comuni in cui non può minimamente figurare il progetto delle solite caste di perpetuare all’infinito i propri privilegi.

Le idee unificanti del centrodestra sono la lotta contro l’oppressione fiscale e burocratica che uccide la società italiana e la battaglia per una giustizia finalmente giusta. Queste due idee possono essere declinate in mille modi diversi ma sfociano sempre e comunque nell’obiettivo di ridare ai singoli cittadini la possibilità di vivere in libertà e serenità in una società non retta da un ordinamento di oppressione e rapina ma da uno stato effettivamente di diritto.

Su questi concetti si può, e si deve, avviare il processo di rifondazione dal basso di uno schieramento politico capace di essere effettivamente concorrente – e alternativo – allo schieramento da sempre a favore di tasse e manette.

Questo non significa che i vecchi gruppi dirigenti degli attuali partiti potenzialmente interessati alla ricomposizione debbano essere necessariamente tagliati fuori. Vuol dire, più semplicemente, che devono fare un passo indietro e, partendo dalla considerazione che non esiste al momento un leader in grado di sostituire Berlusconi, dimostrare nel concreto di non essere capaci di battersi solo per la conservazione del loro incarico parlamentare, ma anche di portare avanti insieme con la gente comune le grandi battaglie di libertà che interessano il popolo del centrodestra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:25