Lega, una proposta   per il centrodestra

La scorsa domenica a Padova, nuovo caposaldo dell’orgoglio padano, si è celebrato il congresso straordinario della Lega Nord. L’evento potrebbe sembrare insolito giacché la consuetudine vuole che si vada a un’assise straordinaria quando le cose non funzionano, quando una leadership ha fallito così tanto la sua missione da dover richiedere un cambio in corsa, senza attendere la scadenza naturale del mandato. Insomma, quando si litiga e si arriva al momento della resa dei conti si fa un congresso.

Per la Lega non è stato così. D’altro canto, il segretario Matteo Salvini ha il vento in poppa essendo uscito vincente da una tornata elettorale, quella per le elezioni europee, la quale nel pensiero di molti avrebbe dovuto rappresentare il de profundis salmodiato al funerale del partito che fu di Bossi e di Maroni.

Perché allora tenere un congresso? Il motivo, in fondo, è abbastanza semplice da comprendere. Salvini, nel 2013, aveva ricevuto un mandato a guidare il partito fino al 2015. Un tempo breve entro il quale cercare di definire le sorti di un movimento in crisi che correva il rischio, di cui tutti i vertici erano perfettamente consapevoli, di uscire dalla scena politica nazionale a causa dei mancati risultati ottenuti alla guida del Paese e degli scandali che hanno coinvolto rappresentanti del partito fino ai massimi livelli.

Contro ogni previsione e contro il pessimismo degli stessi militanti anziani, Salvini ha compiuto il prodigio dell’Araba Fenice: la Lega è risorta dalle sue ceneri e ha ripreso a marciare. Recupera consensi presentando una piattaforma politica condivisa da una quota di elettorato del centrodestra ben più ampia di quella che fisicamente si è recata alle urne, lo scorso maggio, a barrare il simbolo leghista.

Perché allora non dare al giovane segretario maggior tempo per costruire il suo progetto? È così che la base congressuale, domenica, ha firmato un assegno in bianco a Salvini perché conduca il partito all’obiettivo di conquistare la leadership del centrodestra, possibilmente entro il 2016. Già, perché la prospettiva leghista con Salvini non è più quella di starsene arroccati nel recinto padano.

In questi mesi se c’è una cosa che Salvini ha compreso perfettamente è che la sua proposta politica possa trovare ascolto e condivisione in quel sud deluso e abbandonato dalla politica romana più di quanto si pensi. Temi connessi al contrasto all’immigrazione clandestina, alle politiche del lavoro, alla difesa dell’istituto della famiglia tradizionale, alla sicurezza e alla legalità, nel Mezzogiorno sono altrettante ferite che colpiscono il tessuto civile e morale di una popolazione consapevole della propria condizione di minorità. Salvini intende giocare d’anticipo sugli altri competitors del centrodestra, i quali mostrano di restare ancorati a una visione tatticistica.

Questa Lega punta dritta al riposizionamento strategico. È chiaro che tutto è giocato in funzione delle primarie che anche il centrodestra dovrà affrontare, se vorrà presentarsi unito alle prossime scadenze elettorali. Salvini mira a questo primo traguardo e se oggi afferma che non potrebbe candidarsi alla guida di qualcosa, il centrodestra, che al momento non esiste più, lo fa per dissimulare le sue reali intenzioni.

Il congresso di Padova ha detto anche altro. In primo luogo, è stata resa manifesta la ricucitura con l’ala veneta della Lega che, solo un anno fa, si era posta in rotta di collisione con il vertice federale. Anche la guerra interna tra i conterranei Zaia e Tosi conosce un momento di tregua. Tuttavia, non è da escludere che nei propositi di Salvini si radichi l’idea, per superare la logica dei due litiganti, d’investire su nuove energie disponibili nella gestione territoriale del partito, immettendole nella segreteria federale che andrà a comporre nei prossimi giorni.

In secondo luogo, il segretario ha incassato dal suo partito il placet a proseguire in Europa il lavoro insieme con il gruppo di Marine Le Pen. La cosa non era scontata. Portare la battaglia in Europa ha significato spostare il baricentro dell’ideologia leghista dalla ruvida difesa campanilistica dei territori d’interesse al riconoscimento di un più vasto dualismo conflittuale tra identità e mondialismo che, manco a dirlo, è la cifra di un nuovo modello di destra politica. Il messaggio di Salvini sotto questo profilo ha il dono della chiarezza: la ricostruzione di un progetto di destra si fonda sul disconoscimento, o almeno sul pesantissimo ridimensionamento, di quel pensiero liberista, da turbocapitalismo, che ha tenuto banco nei modelli avanzati delle democrazie occidentali.

In terzo luogo, Salvini ha voluto rimarcare la sua ferma opposizione a un’Europa che scivoli verso una deriva tedesca. L’attenzione mostrata per le ragioni della Russia sono un indicatore di direzione da tenere in massima considerazione anche perché colgono un lato sensibile di Silvio Berlusconi il quale, com’è noto, non ci sta a farsi trascinare dall’asse Obama-Merkel in una contrapposizione frontale con il suo vecchio amico Putin. Su questo terreno Salvini mostra di comprenderlo molto più di quanto non facciano esponenti di Forza Italia, tra i più devoti al vecchio leader.

Padova, perciò, ci restituisce l’immagine di un partito che discute. Anche altre aggregazioni nate dalla frantumazione della vecchia coalizione lo stanno facendo ma in forme più animate. Tutto bene, dunque, perché si respira aria nuova per la destra. Aria che reca, dopo tanti insopportabili miasmi, il balsamo della buona politica. Allora, God bless you.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:21