La pasta madre   del voto  anticipato

Nessuno dubita sulla natura strumentale delle minacce di andare alle elezioni anticipate in caso di mancata approvazione delle riforme costituzionali. Tutti sanno che quando gli amici di Renzi evocano il fantasma del voto anticipato, lo fanno solo per spaventare gli oppositori, soprattutto quelli interni al Partito democratico e convincerli “con le cattive” ad ammorbidire la loro battaglia contro la riforma del Senato e del Titolo V.

Malgrado questa consapevolezza generale, però, l’ipotesi di elezioni anticipate in autunno o nella primavera del prossimo anno continua a lievitare all’interno del Palazzo. Come se a farla crescere ci fosse una pasta madre incontrollata e incontrollabile, capace di gonfiare la prospettiva di rivolgersi al corpo elettorale in largo anticipo sulla scadenza naturale della legislatura. In effetti questa pasta madre c’è. Ed è rappresentata dalla composizione dell’attuale Parlamento.

Una composizione che non rappresenta affatto la realtà politica del Paese e che, per le sue contraddizioni, è destinata a intralciare a tal punto l’attività parlamentare da rendere non solo auspicabile, ma anche inevitabile, il ricorso al voto anticipato come unico antidoto alla paralisi. La contraddizione principale riguarda il Pd in particolare e la sinistra in generale. Il Partito democratico ha una composizione parlamentare frutto della gestione di Pier Luigi Bersani e una linea politica in netto contrasto con quella di Matteo Renzi. Bersani nega di essere capo della fazione d’opposizione ma, di fatto, una parte consistente dei gruppi parlamentari da lui costituiti a propria immagine e somiglianza grazie al Porcellum, si comporta come un partito non solo concorrente ma addirittura alternativo a quello del segretario e premier Renzi.

La contraddizione interna al Pd si riflette sull’intera area frastagliata della sinistra, segnata da trasmigrazioni in atto di pezzi di Sinistra ecologia e libertà e di scissionisti del Movimento Cinque Stelle verso il polo renziano, ma anche dalla scelta di altri pezzi di scendere in guerra mortale contro lo stesso polo. Basterebbe questo unico fattore a rendere impraticabile il terreno dell’attuale Parlamento. Ma alle lacerazioni interne del Pd e dell’intera sinistra si aggiungono le contraddizioni interne alle altre forze politiche. A cominciare da quelle che hanno frantumato un partito di Governo come Scelta Civica, che ha una rappresentanza parlamentare a cui non corrisponde alcuna forma di consenso popolare e che hanno trasformato un altro partito di governo, come il Nuovo centrodestra, in una formazione di zombi vaganti nel Palazzo alla conquista di un qualche alito di vita.

Per finire con l’area moderata alla ricerca di una ricomposizione che può avvenire solo da una radicale e difficilissima rottamazione di una parte della sua vecchia classe dirigente e di un Movimento Cinque Stelle che, oltre ad aver perso il suo slancio vitale iniziale, pare aver perso anche la bussola dei suoi comportamenti politici e una parte del consenso virtuale e materiale dei suoi vecchi sostenitori. Queste condizioni rendono quasi proibitivo il cammino delle riforme. Ma soprattutto creano tali e tante macerie politiche e istituzionali, da far crescere progressivamente l’ipotesi delle elezioni anticipate fino a farla diventare una sorta di sbocco obbligato per uscire dallo stallo e dalla crisi. La riforma del Senato e del Titolo V passerà entro agosto. Ma che succederà alla ripresa autunnale, quando il Parlamento sarà chiamato ad affrontare le questioni legate a una economia in condizioni sempre più disperate?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:28