Renzi, la Concordia   e il trionfo di Nibali

Mentre una televisione onnivora celebrava il funerale del relitto della Costa Concordia simbolizzando una storia tutta e soltanto italiana, il grande Vincenzo Nibali, in maglia gialla, incideva, sedici anni dopo sull’Arc de Triomphe, il nome dell’Italia vincitrice.

Una vittoria “comme il faut”, per dire. Nibali ha il volto serio e compìto dell’artigiano che ha fatto bene il suo lavoro, che è anche di squadra. Una maschera dell’impassibilità alla Buster Keaton, si direbbe, e invece è proprio lui, siculo toscano, freddo e riflessivo e metodico e tenace, da cui è arduo strappare qualche parola in più dai pettegolissimi addetti ai lavori, abituati ad altri, mettiamo ai politici che nello sport della chiacchiera primeggiano dilagando e presenziando. Due vicende contemporanee in diretta, due narrazioni speculari, due diverse letture di un Paese in difficilissimo equilibrio fra retorica e verità.

Ma la tv serve anche a riportarci avanti e indietro nel tempo, a metterci di fronte a paragoni e trarne qualche riflessione. L’altra sera, vedendo una delle puntate di “Il tempo e la storia” (Rai Educational) curate da quel Massimo Bernardini che, puntata dopo puntata, ha fatto di “Tv Talk” uno dei non numerosi luoghi di una Rai capace di parlare di sé stessa e dunque della nostra storia, e di confrontare linguaggi e proporre novità e insinuare inquietudini moderne, s’è capito come l’uso delle teche Rai, con debito accompagnamento di stimoli e raccordi storici, costituisca il più sano nutrimento. Non un Ogm, ma genuino. Il conduttore, con le sue intelligenti pillole di storia cui illustri studiosi danno un senso che conta, ha ricapitolato l’epica del Tour de France, con l’ausilio di un acuto scrittore francese, Gilles Pécout, accennando al ruolo “politico” di gare nelle quali il coraggio indomito (l'eroismo) incrocia, a volte, drammatici contesti storici (l’attentato a Palmiro Togliatti, 1948). E vabbè che ricorreva il centenario della nascita, vabbè che è stato il simbolo per antonomasia del ciclismo che, quando vince (giorni dell’attentato a Togliatti) mette una pezza decisiva sulle rivolte e mettiamoci pure che Ginettaccio “naso triste come una salita” - lo consideravano già vecchio ai tempi del suo concorrente Fausto Coppi - tutto ciò premesso resta il fatto che non c’è niente come la tv, con l’urto delle sue immagini, specialmente nel ciclismo, specialmente al Tour, che riesca a produrre comparazioni fra eroi di ieri di oggi, fra storie passate e contemporanee. Quando poi Enzo Jannacci canta il suo Paolo Conte “quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali… coi francesi che si incazzano, e i giornali che svolazzano” riemergono, insieme alle pulsioni nazionaliste di un’Italia appena uscita dalla catastrofe e in cerca d’identità, sia pure ciclistiche, gli inevitabili paragoni con lo stato attuale delle cose. E si tenta di giocarne simmetrie e asimmetrie.

La giornata di domenica coincideva, appunto, con l’arrivo a Genova di un immane relitto, un cetaceo sabbiato causa di tanti morti innocenti, e mai come in questa marcia funebre acquatica il circo mediatico ha dato segni evidenti di schizofrenia. Altro che bulimia. Qualsiasi celebrazione di esequie - al di là della indubbiamente eccezionale operazione di recupero di una nave da crociera infrantasi su uno scoglio causa inchino - meriterebbe qualcosa di diverso. Per lo meno la sobrietà dei funerali. I quali, peraltro, da noi e solo da noi, sono sempre contraddistinti da un applauso corale non appena la bara esce dalla chiesa. Amen, e così sia.

L’eccesso delle attenzioni televisive all’insettone rimesso in acqua dall’ottimo e sobrio, lui sì, Franco Gabrielli, quel day by day di procedere impercettibilmente infinito, e la rotta fra le isole sfiorando la Corsica vigilata da una ministra Ségolène Royal in evidente stato nullafacente, e l’arrivo al rallentatore a Genova, ebbene, tutto l’apparato al servizio di un’operazione in sé di grande valore, ha provocato, col surplus mediatico, uno sorta di svuotamento dell’operazione privilegiandone l’aspetto per dir così autoesaltante e non quello, certamente più serio e storico, di rimediare ad un tremendo errore, col genio della tecnica e l’impegno infaticabile umano. Tv: spettacolare è umano, esagerare è diabolico, diciamo. Il fatto è che alle bulimiche prestazioni televisive si è aggiunto un carico politico francamente insopportabile, e meno male che la Concordia era ormai in porto, altrimenti riaffondava.

Intendiamoci, la tentazione per uno come Matteo Renzi era troppo forte, e infatti tutti, ma proprio tutti gli spettatori se lo immaginavano da giorni a salutare sul molo della Lanterna i reduci vincitori. Eppure, sarebbe stata proprio quell’assenza, peraltro giustificata da ostruzionismi senatoriali, Pil a quota zero, previsioni fosche, a segnalare una diversità, un anticonformismo, un guizzo in controtendenza. Magari in sintonia con lo stile dell’immenso Nibali. Lui sì, con la sua squadra, che sa come vincere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:19