L’affare Tavecchio,   informazione-degrado

Una battuta infelice può essere punita con la lapidazione? Il caso Tavecchio dimostra che i grandi media nazionali (e anche internazionali) sono talmente convinti di essere senza peccato, da non avere alcuna esitazione nel lanciare pietre destinate a seppellire d’infamia – e di ignominia – l’autore di una frase sbagliata.

Sono molteplici le ragioni per cui lo hanno fatto, e continuano a farlo, senza tenere conto della totale assenza di proporzione tra la presunta colpa e la spietata punizione.

La prima è che la cultura politicamente corretta non consente valutazioni proporzionali di alcun genere. È netta, inequivocabile e assolutamente intransigente. Non importa se non hai mai fatto male a una mosca e hai scarsa dimestichezza con la comunicazione omologata e conformista. Puoi tranquillamente dare del mangia-spaghetti a uno dei tanti italiani che agli occhi degli eletti meritano ogni riprovazione. Ma se ti permetti di dire che chi viene dall’Africa è abituato a mangiare le banane, meriti ogni genere di condanna, di riprovazione e di esecrazione. Oltre, naturalmente, la richiesta di fare un passo indietro, di toglierti di mezzo, di scomparire dalla scena e fare posto a chi è tanto ipocrita da sostenere che chi è provvisto di senso di responsabilità non parla di banane e di continente nero, ma esalta sempre e comunque il multiculturalismo, la multietnicità e, naturalmente, la “multiridicolaggine”.

La cultura antidiscriminatoria non è la sola causa del fenomeno. Accanto ad essa c’è la vocazione alla strumentalizzazione politica che spinge i grandi giornali e le grandi reti televisive a tirare tonnellate di pietre contro il malcapitato gaffeur, nella convinzione di interpretare al meglio le intenzioni del padrone del momento.

È bastato che Debora Serracchiani, vicesegretario del Partito democratico e renziana di ferro, abbia fatto capire che Tavecchio deve essere rottamato e che il mondo del calcio deve essere “normalizzato” al nuovo corso politico, che giornali e televisioni si sono subito allineati alle disposizioni. In un crescendo decisamente delirante di accuse, contestazioni e insulti di ogni genere all’indirizzo di Tavecchio che non solo all’anagrafe, ma anche nel cognome, porta il segno della sua ipotetica inadeguatezza. La sottocultura e la vocazione cortigiana sono sufficienti a spiegare il caso Tavecchio? Nient’affatto. Perché accanto a queste ragioni ne spunta una terza, certamente la peggiore e la più grave di tutte. Quella che vede la grande informazione nazionale trasformata non solo e non tanto in informazione spazzatura ma, soprattutto, in un’informazione degradata. Una informazione che non riuscendo più a sollevare questioni e problemi né a contribuire al dibattito teso a favorire soluzioni, non sa fare altro che procedere alle aggressioni personali.

Non si tratta di un fenomeno nuovo. In ogni periodo di crisi delle società di massa, una parte del mondo dell’informazione tende a scaricare le paure e le tensioni dell’opinione pubblica sui facili bersagli rappresentati dai personaggi in controtendenza con gli umori del momento. In passato lo hanno fatto gli estremisti di ogni colore. Da quelli neri a quelli rossi, con l’obiettivo di colpirne uno per educarne cento.

Adesso che le ideologie sono tramontate e non c’è nessuno da educare ma solo qualche malcapitato da lapidare per soddisfare le masse ottuse, ci pensano i cultori dell’informazione paranoica. Convinti di far impennare vendite e ascolti, incapaci di comprendere di essere corresponsabili di chiunque punti non alla decrescita felice ma al degrado traumatico della società civile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:27