A Roma le battute,   a Tripoli… il califfato

Tripoli e Bengasi non sono Sagunto e la Libia delle milizie in guerra tra di loro non è la Spagna contesa da Roma e Cartagine. Dunque la citazione latina del “dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” non va tirata in ballo per denunciare l’inattività del governo italiano mentre la vecchia “quarta sponda” precipita verso un caos di modello somalo con tribù in lotta tra di loro, signori della guerra improvvisati e bande di estremisti islamici decisi a creare un nuovo califfato.

Sapere che la citazione è fuori luogo, però, non toglie nulla alla consapevolezza che mentre a Roma il Senato si divide e si paralizza su una riforma che agisce solo da paravento agli interessi dei partiti sulla futura legge elettorale, a qualche centinaio di miglia dalle coste italiane si consuma un evento che non rappresenta soltanto un’immane tragedia umanitaria ma costituisce anche un pericolo micidiale per la sicurezza e la stabilità futura del nostro Paese.

Il fatto che nella discussione in atto non ci sia neppure la più vaga eco di quanto avviene in Libia non stupisce affatto. Avendo appaltato nel secondo dopoguerra la politica estera alla Nato, alla Chiesa e all’Eni, la classe politica italiana non ha neppure la cultura adatta per occuparsi di quanto avviene a due passi da Lampedusa. Preferisce ruotare vorticosamente all’interno del cortile domestico alternando le discussioni sugli emendamenti e sulla Boschi agli sdegni strumentali e ridicoli sul caso Tavecchio, invece che prendere coscienza di quanto avviene in un cortile limitrofo i cui avvenimenti da più di duemila anni si ripercuotono sempre e comunque sul nostro.

È vero che Matteo Renzi ha dichiarato nei giorni scorsi di essere più preoccupato delle vicende libiche piuttosto che dell’ostruzionismo dei senatori dissidenti. Ma dopo aver pronunciato la battuta carica di inquieta attenzione, il nostro presidente del Consiglio, come ormai troppo spesso gli capita, non ha fatto seguire alle poche parole alcun atto o azione politica. La preoccupazione è rimasta priva di conseguenze, mentre soltanto il maltempo eccezionale di fine luglio frena gli sbarchi di immigrati provenienti dalla Libia e tutte le indicazioni provenienti da Tripoli indicano che il caos di modello somalo in atto nel Paese è destinato a far lievitare ulteriormente il flusso già incontrollato dell’esodo africano verso l’Italia e l’Europa.

Che può fare il Governo italiano oltre alla battuta senza seguito di Renzi? Chi dice che può solo limitarsi ad organizzare al meglio l’accoglienza è tragicamente schiavo della cultura dell’appalto della politica estera del Paese ad entità sovranazionali o a chi ha avuto la delega storica della soluzione del problema energetico nazionale. Ma la Nato, oltre ad aver provocato le condizioni dell’attuale caos libico con le sconsiderate azioni di Sarkozy e la passività di Cameron prona all’insensatezza di Obama, si preoccupa solo dell’Est ucraino, la Chiesa pensa solo a rigenerarsi guidata dal terzomondismo politicamente corretto di Papa Francesco e all’Eni non rimane molto altro da fare che cercare di conquistare la benevolenza di milizie, tribù ed aspiranti califfi per salvare il salvabile.

Colmare questo vuoto toccherebbe al Governo di Roma. Non solo monitorando la situazione libica e cercando di adoperare quegli strumenti di persuasione e di indirizzo che storicamente l’Italia ha sempre usato nella “quarta sponda”. Ma anche assumendo una qualche iniziativa personale ed a livello europeo per sollecitare l’intervento della comunità internazionale prima che la situazione in Libia sfoci in un nuovo califfato ed il Paese si trasformi in un trampolino di lancio per nuove e più incontrollabili invasioni non solo di disperati in cerca di aiuto, ma anche di invasati in cerca di conquista.

C’è ancora un ministro degli Esteri? Serve solo a far giocare Renzi al Risiko delle nomine europee? Si spera che le domande abbiano risposte. Non con le battute, ma con qualche fatto concreto!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:26