La povera “Italietta”   dei record negativi

La Confcommercio, dopo aver confermato il forte rallentamento della crescita economica previsto dal Fondo monetario e da Confindustria, ha pubblicato uno studio in cui risulta che l’Italietta del premier Matteo Renzi ha il ben poco invidiabile record mondiale della pressione fiscale.

In soldoni, secondo i calcoli della più grande associazione dei commercianti d’Italia, il fisco si papperebbe ogni anno quasi il 54 per cento del reddito nazionale. Una percentuale enorme che tuttavia se ne va in gran parte per coprire la colossale spesa pubblica corrente, mantenendo il sistema infrastrutturale del Paese a livelli infimi per il mondo occidentale. Basti pensare, tanto per fare un esempio tangibile, che nonostante l’altissima fiscalità che ci caratterizza da decenni, unita ad un indebitamento senza paragoni in Europa, gran parte delle linee ferroviarie sono ancora a binario unico.

Comunque sia, è indubbio che un così eccessivo prelievo tributario risulti assolutamente incompatibile con qualunque speranza di una ripresa economica degna di questo nome. Su un piano sistemico generale possiamo dire che c’è troppa gente che vive di spesa pubblica, i cosiddetti tax consumers, a fronte di una platea di soggetti i quali, operando sul mercato concorrenziale, producono valore aggiunto: i tax payers. E mentre per i primi la tassazione rappresenta una sostanziale partita di giro, per i secondi – costretti a realizzare beni e servizi che qualcuno sia disposto ad acquistare – l’alta fiscalità costituisce il problema principale, tale oramai da metterne in discussione la sopravvivenza economica.

Ciò, come ho già avuto modo di scrivere più volte, tende ad accentuare lo squilibrio proprio tra chi di tasse vive e chi di tasse rischia di morire, determinando intuitivamente una perdita nella ricchezza reale complessiva del sistema medesimo. Per questo motivo non c’erano e non ci sono alternative ad una decisa riduzione del perimetro pubblico che determini a regime un sostanziale abbattimento di una pressione fiscale sempre più insostenibile, con lo scopo principale di ridare fiato al motore quasi fuso dell’economia privata.

Invece, anche con l’attuale Governo, si è scelto di accentuare la linea folle della redistribuzione keynesiana delle risorse, aumentando nei fatti il già più che eccessivo tasso di controllo politico-burocratico sulla ricchezza effettiva prodotta in Italia. Ma tutto questo, proprio come dimostrano le analisi e le proiezioni più autorevoli, non può che provocare due catastrofici effetti correlati: perdita di valore aggiunto e calo del gettito tributario allargato. Esattamente ciò che gli ultimi dati sembrano segnalare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:23